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Il Libro delle Lamentazioni è una dolente elegia su Gerusalemme, sui suoi dolori, sulle disgrazie provocate dalla guerra. Risonanza tremendamente attuale, come attuale è l’invocazione della pace

di Rosanna Virgili

«Desertum fecerunt et pacem appellaverunt», che tradotto è: «Fecero un deserto e lo chiamarono pace». Così scrive Tacito nel De Agricola, con parole che descrivono la realtà tragicamente attuale di diverse città del mondo, ancor oggi distrutte dalle guerre. Ciò che colpisce – oggi più di ieri – dinanzi ai danni della malvagità umana, è la giustificazione che viene data con un cinismo accademico: «La guerra si deve fare per ottenere la pace». 

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Il profeta Geremia è incaricato da Dio di minacciare sventure, mentre il popolo vuole solo buone notizie. Ai suoi contemporanei, e a noi, annuncia che dalla guerra non verrà mai la pace

 di Rosanna Virgili

Geremia è un profeta sfortunato: viene chiamato da Dio per andare alle “nazioni” ad annunciare la spada, la fame, la peste. Deve avvertire Gerusalemme che la guerra l’avrebbe presto assalita e che sarebbe stato un miracolo sfuggirvi. Nel racconto della sua vocazione si dice che il Signore gli fece vedere una pentola inclinata da settentrione, il cui liquido caustico si sarebbe fatalmente rovesciato sulla Città di David (cfr. Ger 1, 13). Era metafora della rovina che si sarebbe abbattuta su di essa, violando la vita dei suoi abitanti.

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Primo Mistero della luce: Battesimo di Gesù

di p. Ottavio De Bertolis sj

Mentre repercorriamo con le labbra le dieci Ave Maria, seguiamo con gli occhi del cuore questo mistero, che segna l'inizio della vita pubblica di Gesù. Lo contempliamo insieme a quella folla dolente di peccatori, di tribolati, di “mendicanti di Dio” che si reca a farsi battezzare.

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Oggi riaccade amaramente la devastazione di
Gerusalemme, su cui Isaia piange. Immagine di un mondo dove i rapporti sono sconvolti, dove i giovani reclamano maestri autorevoli, ma non ne trovano

di Rosanna Virgili

Nel libro del profeta Isaia viene ritratto un periodo di vuoto di potere in Gerusalemme, una condizione di anarchia che sconvolge la città estendendo i suoi effetti devastanti su tutta la Giudea. Le tinte forti di una società ormai completamente destrutturata e sfibrata raggiungono il loro apice espressivo in una scena di disperazione: «Sette donne afferreranno un uomo solo, in quel giorno, e diranno: Ci nutriremo del nostro pane e indosseremo le nostre vesti; soltanto, lasciaci portare il tuo nome. Toglici la nostra vergogna» (Is 4, 1).

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