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Oggi riaccade amaramente la devastazione di
Gerusalemme, su cui Isaia piange. Immagine di un mondo dove i rapporti sono sconvolti, dove i giovani reclamano maestri autorevoli, ma non ne trovano

di Rosanna Virgili

Nel libro del profeta Isaia viene ritratto un periodo di vuoto di potere in Gerusalemme, una condizione di anarchia che sconvolge la città estendendo i suoi effetti devastanti su tutta la Giudea. Le tinte forti di una società ormai completamente destrutturata e sfibrata raggiungono il loro apice espressivo in una scena di disperazione: «Sette donne afferreranno un uomo solo, in quel giorno, e diranno: Ci nutriremo del nostro pane e indosseremo le nostre vesti; soltanto, lasciaci portare il tuo nome. Toglici la nostra vergogna» (Is 4, 1).

Evidentemente il paese è in preda a un’assoluta disgregazione, per cui persino le famiglie e il nome delle donne in questione vengono a mancare, tanto che esse non trovano più uomini che possano “togliere loro la vergogna”, cioè sposarle e donare loro dei figli. È una scena emblematica che allude a un paese in guerra, per cui gli uomini sono diventati rari, e con la loro penuria anche la natalità, la vita sociale e la comunità politica sono messe a repentaglio. 

Il quadro di una guerra che, peraltro, si andrà a perdere (!) è confermato dagli ultimi versetti del capitolo terzo: «I tuoi prodi cadranno di spada, i tuoi guerrieri in battaglia; si alzeranno lamenti e gemiti alle sue porte ed essa, disabitata, giacerà a terra” (Is 3, 25-26). Tutto ciò accadrà perché da Gerusalemme saranno rimosse le guide sagge della società e i capi ricchi di esperienza e di saggezza, per sostituirli con ragazzi inesperti e donne capricciose: questo è frutto della cattiva condotta di Gerusalemme che ha volto la sua lingua e le sue opere contro il Signore. Ed ecco quale sarà il futuro prossimo: 

«Sì, ecco, il Signore, Dio degli eserciti, toglie a Gerusalemme e a Giuda ogni genere di risorsa, ogni risorsa di pane e ogni risorsa d’acqua (...). Io metterò come loro capi dei ragazzi, dei monelli li domineranno. Il popolo userà violenza: l’uno contro l’altro, individuo contro individuo; il giovane tratterà con arroganza l'anziano, lo spregevole il nobile (...) Certo, Gerusalemme va in rovina e Giuda crolla» (Is 3, 1.4-8).

E ancora: «Il mio popolo! Un fanciullo lo tiranneggia e delle donne lo dominano. Popolo mio! Le tue guide ti traviano, sconvolgono la via che tu percorri. Il Signore si erge per muovere causa, egli si presenta per giudicare il suo popolo. Il Signore inizia il giudizio con gli anziani e i capi del suo popolo: Voi avete devastato la vigna; le cose tolte ai poveri sono nelle vostre case. Quale diritto avete di opprimere il mio popolo, di pestare la faccia dei poveri? Oracolo del Signore, Dio degli eserciti» (Is 3, 12-15).

L’immagine di Gerusalemme che emerge è quella di un edificio che sta crollando a causa del venir meno delle sue pietre miliari. Tale edificio assume subito un valore metaforico e viene a indicare non solo la città fatta di case e di mura, ma soprattutto l'edificio etico della nazione che si sfascia, cede e cade in rovina, poiché non ha più riferimenti istituzionali, etici e politici.

Il passo annuncia una depauperazione da parte di Dio di «ogni genere di sostegno», nella fattispecie di quanti sono adibiti a proteggere e dare stabilità a una città. Una classe dirigente in cui sono annoverati coloro che guidano la vita politica (i giudici, i capi, i notabili, gli anziani), coloro che ne difendono l'integrità (i prodi, gli addetti alla sicurezza) e coloro che ne custodiscono l'intelligenza e la libertà (il profeta e l'indovino).  La mancanza e la corruzione di questi presìdi genera un vuoto di potere, da cui scaturisce ogni sorta di disordine, sconvolgimento e rovesciamento di ruoli. 

L'immagine che si sviluppa – a questo punto – non è solo quella di un edificio che vacilla e, invece di coagularsi, visto il momento di estremo bisogno, l'uno combatte contro l'altro; invece di ascoltare e obbedire alle parole sapienti dell'anziano, il ragazzo lo schiaccia e lo disprezza; invece di disporre di autorità per la sua dignità, il nobile viene schernito dal villano.

Isaia presenta la scena plastica di un momento di assoluto sbandamento, quando tutto il tessuto sociale, gli apparati gerarchici e le innervazioni etiche della convivenza comune vengono a mancare e appare una realtà di illegalità e sovvertimento dei valori. Anche gli anziani si sono trasformati in oppressori. Ed è proprio a causa di questo originario sconvolgimento che tutta la città crolla. Possiamo vedere un paragone tra gli anziani e le fondamenta di una casa: se queste si sradicano dalla terra e diventano una cappa pesante su di essa, non potrà far altro che crollare. Scandaloso è il paragone tra anziani e fanciulli: questi ultimi dovrebbero essere la parte della casa che può guardare verso l'alto, in virtù del suo essere radicata sul sostegno degli anziani. Purtroppo, in Gerusalemme, questa geometria si è capovolta a causa della perversione delle sue fondamenta. Tale perversione consiste nell'accaparrarsi i beni del popolo con una operazione arbitraria ed egoistica che devasta la vigna, metafora preferita dai profeti per indicare Gerusalemme. 

Un quadro di rara attualità anche questo: i ragazzi che oggi protestano nelle piazze contro la strage di innocenti a Gaza e che cercano negli “anziani” una guida e un sostegno in questa causa, si vedono del tutto inascoltati e addirittura repressi per la giustizia e la pace che reclamano, invece di trovare in essi coloro che per primi cerchino e operino sia per l’una che per l’altra.  

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