Altre erano le responsabilità che Giuseppe stava per assumersi accanto alla Vergine Madre e al Verbo incarnato, come è ben sintetizzato nelle parole di Paolo VI:
“San Giuseppe, patrono della Chiesa, tu che accanto al Verbo incarnato lavorasti ogni giorno per guadagnare il pane, traendo da lui la forza di vivere e di faticare, tu che hai provato l’ansia del domani, l’amarezza della povertà, la precarietà del lavoro: irradia ancor oggi l’esempio della tua figura, umile davanti agli uomini, ma grandissima davanti a Dio; guarda all’immensa famiglia che ti è affidata.
Ricorre quest’anno il decimo anniversario della morte di don Francesco Fuschini, personaggio di spicco della Romagna letteraria. Era una firma nota ai lettori del Resto del Carlino di Bologna e dell’Osservatore Romano. Chiamava i suoi scritti con fine ironia «Contro pensieri» che davano ai nervi agli anticlericali. In occasione del quarantesimo anniversario del declassamento della solennità di san Giuseppe, proprio il 19 marzo del 1977, don Francesco pubblicava questo articolo di cui riproduciamo il testo quasi integrale, in cui si intravede con ironia il fumo sulle macerie di accese e radicali ideologie.
È un piacere ascoltare o leggere racconti, favole, romanzi. I bambini ne sono golosi e gli adulti non lo sono da meno. Le storie piacciono perché vi si esercitano funzioni mentali gratificanti. Nella forma breve di una favola o in quella elaborata di un romanzo, si tratta sempre di una vicenda che si svolge e ha un esito. La curiosità è stuzzicata da quel che accade e da come andrà a finire. La fantasia è indotta dalle parole del racconto a farne una riproduzione mentale. Si inscena nella mente una specie di teatro che permette, a chi legge o ascolta, di immedesimarsi nella vicenda da protagonista coinvolto, provando sul momento gli stessi stati emotivi raccontati.