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40 anni fa san Giuseppe perdeva la sua festa solenne del 19 marzo

di don Francesco Fuschini

Ricorre quest’anno il decimo anniversario della morte di don Francesco Fuschini, personaggio di spicco della Romagna letteraria. Era una firma nota ai lettori del Resto del Carlino di Bologna e dell’Osservatore Romano. Chiamava i suoi scritti con fine ironia «Contro pensieri» che davano ai nervi agli anticlericali. In occasione del quarantesimo anniversario del declassamento della solennità di san Giuseppe, proprio il 19 marzo del 1977, don Francesco pubblicava questo articolo di cui riproduciamo il testo quasi integrale, in cui si intravede con ironia il fumo sulle macerie di accese e radicali ideologie.

La Cei (Conferenza episcopale italiana) ha dequalificato la festività di san Giuseppe a livello di liturgia ordinaria depennando l'obbligo della Messa e del riposo per dare una mano alla bilancia dei pagamenti. Ci sono cattolici che optavano per una riduzione delle ore di sciopero e per un impegno maggiore nei giorni lavorativi; ma non mancano i cattolici che sostengono che la santità è un diritto di tutti come la Mutua e che le feste sono un peccato contro la promozione occupazionale […] Io mi attesto sulle posizioni dell'«Osservatore Romano» che è la campana grossa della chiesa di San Pietro. Il calendario dei santi non è mai stato a numero chiuso e l'ultima lista di feste con Messa d'obbligo e riposo di contorno risale a Pio X.  E, d'altro canto, l'Italia poveretta vale una Messa, tre santi e altre feste comandate. Solo mi rigermoglia il pensiero che dove il papa ritira la pantofola, c'è subito qualcuno che ci mette la scarpa. […] Difficile sarà estirpare la festa laica di san Giuseppe. Cade in un tempo di tentazioni ecologiche. L'inverno è dimissionario e la primavera inaugura la sua amministrazione con uno sperpero faraonico di fiori di pesco. I rilievi smettono il fumo di Londra e il mare gira onde allegre. L'aria si fa di seta ed è consigliabile vivere. Chi ha passato i mesi perturbati in città mangiando nebbia inquinata e originali televisivi, inventerà sciatiche, catarri bronchiali o la malattia dei polli per strappare il 19 marzo alla cazzuola o all'aratro.

San Giuseppe in Romagna era una devozione per tutte le ruote: lo festeggiavano repubblicani storici, anarchici e mangiapreti dogmatici. La Romagna si trasferiva in pineta portandovi chilometri di salsiccia, mastelli di ragù e un fiume di Sangiovese. […] Io a san Giuseppe gli faccio questa festicciola di parole in un articolo perché è un santo fatto a mio dosso. Prima di tutto contesta la turba sterminata dei chiacchieroni col suo silenzio irreversibile. 

Nella Bibbia parlano tutti, anche l'asina di Balaam: di san Giuseppe non c'è un discorso in presa diretta. Ora è cominciato il secondo diluvio ed è quello delle parole. Nel primo si salvò Noè, nel secondo non si salverà nessuno. La tivù e la radio mischiano infinite acque ciarliere; il ministro, il sindacalista, il politologo e il cretino affogano l'Italia nelle parole. Da anni si versano lacrime qualunquistiche sull'inquinamento dell'aria. L'inquinamento del silenzio sarà l'ultima devastazione dell'uomo.

Orazione efficace: san Giuseppe in silenzio, salvaci dai discorsi dei nostri politici. San Giuseppe contesta l'antica mafia a impianto familiare che genera le baronie. Quando un italiano giunge all'impatto con la poltrona, comincia il ballo di san Vito. Suoceri, generi, figli e figli dei figli fino alla terza e quarta generazione sono coinvolti nell'area del potere seduto. Una poltrona tira l'altra come le ciliegie. San Giuseppe per trent'anni incontrò il Signore in casa sua e non gli chiese mai un posto in federazione, una spintarella in busta o un giorno di vita in più. Gesù cavò quattrini dalla bocca del pesce, risuscitò Lazzaro; ma san Giuseppe rimase operaio del legno ed ebbe la sua morte come stipendio a contratto supernazionale.

La Chiesa ha sacrificato alla micragna i suoi rappresentanti sindacali, cioè san Giuseppe (sindacato carpentieri), san Pietro (sindacato della pesca) e san Paolo (artigianato). La spensierata miseria della repubblica ha impoverito le rappresentanze del Regno dei Cieli. I santi se ne vanno e la crisi economica resta. 

San Giuseppe, falegname, piantaci su una contro-benedizione ribadita col martello.

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