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di Ottavio De Bertolis s.j.

Abbiamo già accennato al senso profondo del sesto comandamento, che non è quello di reprimere, ma di liberare la nostra affettività e la nostra stessa sessualità. Infatti è evidente che queste pulsioni possono essere disordinate e essere vissute in modo distruttivo, cioè non umano, ma semplicemente animale: vissute così, non sono nemmeno appaganti, proprio perché l'amore non è una semplice meccanica di organi, ma un accordo di anime, o, se preferite, di cuori. Ognuno di noi, sposato o no, laico o sacerdote, è segnato dal bisogno profondo di amare ed essere amato: se si pensasse che la castità consista nel sopprimere questo, si sarebbe completamente fuori strada. In questo senso, come accennavamo, il sesto comandamento non ci insegna a reprimere, ma ad integrare e a vivere più pienamente il mondo dei nostri affetti, perché è invece possibile viverli malamente o “di meno”.

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di Gianni Gennari

Riprendiamo da Abramo, il capostipite della fede ebraico-cristiana. Lui è quello che “ha creduto” ad una parola di Dio creatore ed è partito, lasciando tutto, verso una realtà ignota, forte dell’ascolto della chiamata come base e fondamento sicuro (il primo senso del “credere”, batàh) e fiducioso nello slancio fiducioso che lo spingeva in avanti (il secondo senso del credere, amàn), come abbiamo visto negli incontri precedenti.

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di Enrico Ghezzi

San Paolo nelle lettere indirizzate ai Romani e ai Galati, a proposito del confronto assai polemico col mondo ebraico (da cui Paolo veniva e nel quale era stato severamente educato), insiste sul rapporto che corre tra la Legge e la fede in Dio che “giustifica”.
L’apostolo fonda la sua dottrina della ‘giustificazione’ (= essere liberati dal peccato e partecipare alla eredità dei figli di Dio), ricorrendo alla fede di  Abramo, il padre del popolo ebraico: Paolo afferma che in lui, in Abramo, anche i popoli pagani (oggetto della sua infaticabile predicazione), pur non conoscendo ancora Dio, sono chiamati, poiché il Signore aveva già ‘benedetto tutte le nazioni’ (Gal 3,8; cfr. Gen 12,3); e poiché la ‘fede’ di Abramo ‘gli fu accreditata come giustizia’ (Rm 4,8), Abramo può essere riconosciuto come ‘padre di tutti noi’ (4,16): da qui, la solenne proclamazione di Paolo: ‘di conseguenza quelli che vengono dalla fede, sono benedetti insieme ad Abramo, che credette’ (Gal 3,9).

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di Madre Anna Maria Cánopi, osb

Il 10 giugno 1940, mentre stavo accanto a mia madre che, seduta davanti a casa sotto il tiglio, allattava l’ultimo fratellino, arrivò una donna gridando: «È scoppiata la guerra! Il Duce ha proclamato alla radio che anche l’Italia si è alleata alla Germania ed è entrata in guerra!». Mia madre ebbe un sussulto e strinse a sé il bimbo come per proteggerlo: «Misericordia, Signore! Che avverrà di tutti noi?».

Prima conseguenza fu la chiamata degli uomini  – giovani e meno giovani – sotto le armi. Avevo nove anni; non sapevo ancora che cosa fosse una guerra mondiale, ma ne intuivo la gravità dallo sgomento che vedevo sul volto delle due madri. Di fatto la nostra vita subì un brusco cambiamento.

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