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Non per sospetto, ma per umiltà Giuseppe vuole rimandare la sua sposa incinta, ma l’angelo gli manifesta il mistero presente in Maria. A lui toccherà il compito di padre “putativo”, perché unico è il vero Padre, quello dei cieli

di mons. Silvano Macchi

Il secondo brano biblico che prendo in considerazione, in riferimento ai “misteri” della vita di san Giuseppe, è la famosissima, delicatissima e ampiamente illustrata pagina dell’annuncio a Giuseppe (Mt 1, 18-25), dove si dice di Maria che è incinta per opera dello Spirito Santo (è lo Spirito che dà la vita e ne è la fonte!). Maria però è promessa sposa di Giuseppe e di fatto egli è già sposo di Maria; mancava solo la coabitazione e la santificazione del matrimonio, le nozze.

Non sappiamo bene come Giuseppe sia venuto a sapere dello stato interessante (e mai vi fu stato “più interessante”) di Maria. Appare abbastanza ovvio supporre che Maria stessa gli abbia parlato dell’annuncio dell’angelo o che sia stata semplicemente muta. (Cosa vuoi dire quando Dio capita nella tua vita?).

Tuttavia a Giuseppe la testimonianza di Maria bastò: non ebbe sospetti di infedeltà. E qui incomincia il dramma, la prova di Giuseppe che, presa consapevolezza della gravidanza inaspettata di Maria, per un attimo pensò che il loro impegno reciproco di fidanzamento, anche dal punto di vista giuridico, potesse essere sciolto con una lettera di ripudio. Giuseppe però, che è uomo giusto, non vuole esporre Maria al pubblico giudizio e pertanto decide di sciogliere, segretamente, il suo matrimonio con lei. Maria era stata scelta da Dio stesso per compiti troppo grandi, troppo superiori alla idoneità di Giuseppe, troppo distanti dalla piccola storia del loro affetto perché egli potesse rimanere accanto a lei. Essendo giusto, pensava di non avere alcun diritto su Maria e su quel bambino: era giusto rinunciare e ritirarsi in disparte!

A questo punto a Giuseppe, che sta pensando e rimuginando solitariamente – è un uomo molto pensoso e meditativo – come avrebbe dovuto comportarsi, quale fosse il modo migliore per sfilarsi in silenzio da quella storia misteriosa, senza nuocere a Maria con la sua presenza e senza nuocerle neppure con la sua distanza, compare in sogno (il primo di altri sogni) l’angelo che gli rivela la sua altissima funzione nella storia della salvezza (Giuseppe sarà poi chiamato, nella tradizione cristiana, “ministro della salvezza”, per ribadire il suo ruolo di primo piano). Giuseppe si sente interpellato dall’angelo come figlio di Davide, e pure questo dovette stupirlo molto. Sapeva bene d’essere figlio di Davide, ossia suo discendente, ma non pensava certo che la promessa grandiosa del Messia, fatta al suo lontano antenato, potesse personalmente riguardarlo; discendenti di Davide erano poi tanti, centinaia...

Ma l’angelo riscuote Giuseppe dai suoi pensieri e gli dice: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa...». Giuseppe non deve temere; la promessa che egli ha fatto di prendere con sé Maria rimane, anzi deve prenderla subito con sé! Quello che è generato in lei certo è opera dello Spirito Santo, non sua; e tuttavia sarà lui stesso a dare il nome al figlio che nascerà. «Tu (Giuseppe e con lui noi tutti) non devi generare o ‘fare’ Dio (magari a tua immagine e somiglianza!): questo compito appartiene a Maria. Tu (e con lui tutti noi) devi semplicemente accoglierlo. Tu lo chiamerai Gesù, lo adotterai, lo educherai, gli darai una identità, lo renderai a tutti gli effetti discendente davidico, lo riconoscerai in tal modo come il Salvatore di tutti». Questo infatti significa Gesù: Dio salva, è salvatore.

Giuseppe si destò dal sonno. Il verbo “si destò” è lo stesso della Risurrezione, come a dire: dopo l’annuncio dell’angelo, Giuseppe risorse come un uomo nuovo (il sogno è una piccola morte nella psicologia del profondo, anche se nella Bibbia ha un significato diverso). Non solo egli risorse dal sonno di quella notte, ma risorse dal sonno di una vita. Riconobbe che le parole della Scrittura a riguardo di Davide non erano parole lontane e inaudite, ma lo riguardavano da vicino.

E obbedì perfettamente: prese con sé Maria come sua sposa, la introdusse in casa sua, si curò di lei, poi anche e soprattutto del bambino. Rimase certo chiara in lui la consapevolezza della grandezza arcana di quel figlio e dell’evidente sproporzione tra il compito a lui affidato e la consistenza della sua persona. Insieme però si affermò in lui una certezza: il Padre dei cieli, il Padre vero di quel figlio, era vicino alla sua vita e alla vita del figlio.

Nella tradizione cristiana Giuseppe è stato chiamato «padre putativo», «adottivo», quasi a dire che padre di Gesù egli fu ritenuto dall’opinione comune, ma non fu tale in verità. Davvero Giuseppe fu padre soltanto putativo? In certo senso si deve dire che putativi sono tutti i padri: tali per modo di dire, non secondo verità. La verità è che il Padre vero è soltanto quello dei cieli. Tanto che a lui deve rivolgersi l’attenzione e la fede dei padri sulla terra, perché essi non restino spaventati dal loro compito sovrumano e grandioso, ma non impossibile. Essi non devono indugiare nel pensiero segreto di come sfilarsi prima possibile dal compito e dalla responsabilità d’essere padri. Il destino singolarissimo di Giuseppe rivela in tal senso la verità nascosta nell’esperienza di ogni padre sulla terra. Come Giuseppe, neppure essi debbono temere, se vivono nella giustizia la propria vita, se permangono sotto il segno dell’obbedienza, della fiducia e della gioia: la gioia e l’allegrezza di Giuseppe!

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