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Il profeta Geremia è incaricato da Dio di minacciare sventure, mentre il popolo vuole solo buone notizie. Ai suoi contemporanei, e a noi, annuncia che dalla guerra non verrà mai la pace

 di Rosanna Virgili

Geremia è un profeta sfortunato: viene chiamato da Dio per andare alle “nazioni” ad annunciare la spada, la fame, la peste. Deve avvertire Gerusalemme che la guerra l’avrebbe presto assalita e che sarebbe stato un miracolo sfuggirvi. Nel racconto della sua vocazione si dice che il Signore gli fece vedere una pentola inclinata da settentrione, il cui liquido caustico si sarebbe fatalmente rovesciato sulla Città di David (cfr. Ger 1, 13). Era metafora della rovina che si sarebbe abbattuta su di essa, violando la vita dei suoi abitanti.

Per Geremia, figlio del popolo di Israele, nato anch’egli da quella “madre” che era, per tutti gli ebrei, Gerusalemme, dover parlare ad essa di assedio, di spada, di fine, era un dolore davvero senza fine! Parole che il profeta non avrebbe mai voluto pronunciare contro i suoi fratelli. Ma era ciò che il Signore gli aveva ordinato di fare.

Geremia era un giovane uomo leale, sincero, autentico. Che aveva ricevuto da Dio, però, una dura vocazione. Lo rivela in una delle più toccanti e sentite delle sue Confessioni: «Tu mi hai sedotto, Signore, ed io sono stato sedotto, mi hai fatto violenza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me […]. Mi dicevo: Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome! Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (20, 7-9). Il motivo della resistenza a Dio di Geremia stava proprio nella parola che doveva consegnare agli ebrei: «Quando parlo, devo gridare, devo urlare: Violenza! Oppressione!» (20, 8).

La verità era che stava per colpirli il terrore della guerra. Una verità che i suoi concittadini non volevano sentire, che non prendevano sul serio. Lo canzonavano addirittura ripetendo le sue parole minacciose: «Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno [...]. Sentivo la calunnia di molti: Terrore all’intorno!» (20, 8b.10). La gente preferiva sentire parole di “pace”! Ed ecco che gli ultimi re di Giuda, pur di tenersi buono il popolo, cercavano di accontentarlo – e di ingannarlo! – con le parole dei falsi profeti.

Per la prima volta dilaga nella Scrittura il fenomeno della falsa profezia. Molti furono gli uomini che si misero al servizio della propaganda dei governanti, per predicare che tutto andava bene, che non c’era nulla di cui preoccuparsi e che la parola di Geremia era infondata, tipica di un pazzo, che non doveva essere creduta perché non veniva da Dio. Egli doveva tacere! Nessuna voce di verità, cioè, doveva rompere la fitta coltre della menzogna. Per questo Geremia, il leale profeta di Dio, fu odiato da tutti, dalla gente comune e ancora più, dai sacerdoti del tempio, dai funzionari del re e dai falsi profeti. Per questo egli alzava la sua supplica al Signore lanciando un’aspra invettiva contro i (falsi) profeti: «Mi si spezza il cuore nel petto, tremano tutte le mie ossa […] La terra è piena di adùlteri; per la maledizione tutta la terra è in lutto, sono inariditi i pascoli della steppa […] Persino il profeta, persino il sacerdote sono empi, persino nella mia casa ho trovato la loro malvagità. Oracolo del Signore» (23, 8-11). Geremia si torce dal dolore alla vista dei danni che le menzogne dei falsi profeti e l’empietà dei sacerdoti procurano non solo alle persone ma anche alla terra. E grande è la responsabilità di chi – diremmo oggi – gestisce l’informazione dissimulando la realtà.

I profeti di allora possono essere paragonati, infatti, ai giornalisti di oggi: il loro potere era fortissimo e determinante sul destino della gente. A causa della loro corruzione Dio invita Israele dicendo: «Così dice il Signore degli eserciti: Non ascoltate le parole dei profeti che profetizzano per voi; essi vi fanno vaneggiare, vi annunciano fantasie del loro cuore, non quanto viene dalla bocca del Signore. A coloro che disprezzano la parola del Signore, dicono: Avrete la pace!, e a quanti, ostinati, seguono il loro cuore: Non vi coglierà la sventura!. Ma chi ha assistito al consiglio del Signore, chi l’ha visto e ha udito la sua parola? Chi vi ha fatto attenzione e ha obbedito?  […] Io non ho inviato questi profeti ed essi corrono; non ho parlato a loro ed essi profetizzano» (23, 16-18.21). Non c’è male più grande che un profeta possa portare al suo popolo che quello di predicare il travestimento della guerra nella pace. Mentre si avvicina la guerra, essi parlano di pace, mistificando il senso e il contenuto della parola stessa.

Accadde in Gerusalemme quel che accade anche oggi: che si pensi che la pace sia frutto della guerra. Che non si avvisi la gente sulla verità: che dalla guerra viene morte e non vita e la vita è la pace. Di fronte alla protervia dei falsi profeti che pretendono di parlare in nome di Dio, dice Geremia: «Eccomi contro i profeti di sogni menzogneri – oracolo del Signore – che li raccontano e traviano il mio popolo con menzogne e millanterie. Io non li ho inviati né ho dato loro alcun ordine; essi non gioveranno affatto a questo popolo. Oracolo del Signore» (23, 32). Netto è il rigetto di Dio verso i falsi profeti mentre egli si riserva delle voci leali e fedeli che spesso si rivelano – come accadrà anche a Gesù – segni di contraddizione. Voci che non ingannano il popolo ma cercano di aiutarlo a costruire un futuro di autentica pace. La loro parola sarà, alla fine, più forte di ogni pur tenace menzogna. Poiché dice il Signore: «La mia parola non è forse come il fuoco – oracolo del Signore – e come un martello che spacca la roccia?» (23, 29).

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