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Il 19 marzo scorso ha riaperto, in via straordinaria, la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami al Foro Romano, il cui soffitto era inaspettatamente crollato il 30 agosto 2018 per fortuna senza provocare feriti o vittime. L’evento aveva suscitato molto rammarico e apprensione, specie tra gli estimatori della chiesa che si trova sopra il carcere Mamertino, luogo di particolare interesse storico e religioso del Foro Romano. 

Le cronache narrano che in quelle tetre prigioni trovarono la morte personaggi nemici di Roma quali Vercingetorige e i sodali della congiura di Catilina, oltre alla figura più importante delle prime cronache cristiane durante l’Impero: l’apostolo Pietro, che vi fu rinchiuso e che avrebbe fatto miracolosamente sgorgare una sorgente dal fondo della cella per battezzare i suoi carcerieri. 

Il Vicariato di Roma ha avviato da subito la messa in sicurezza della chiesa e i lavori di ripristino della navata crollata: si trattava di un bel soffitto di legno a cassettoni, decorato nel ‘600 ad opera di Giovanni Battista Montano, con al centro una immagine della Natività. L’immagine rappresentava Gesù al centro, Maria a sinistra inginocchiata di fronte al Bambino, e Giuseppe a proteggere la scena sullo sfondo.

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Un secolo e mezzo di vita per l’Ospedale Bambino Gesù di Roma rappresenta un traguardo significativo, non soltanto dal punto di vista storico e religioso, ma anche per la funzione di punto di riferimento medico e scientifico di altissimo livello offerto ai bambini italiani e - oggi - di molte altre nazioni. Infatti, nella cerimonia di celebrazione dell’anniversario dei 150 anni di fondazione tenuta martedì 19 marzo scorso nella sede di viale Baldelli 38, zona San Paolo fuori le Mura, presenti le maggiori autorità civili e religiose (card. Parolin, presidente Mattarella, presidente dell’Ospedale Mariella Enoc, ministro della salute Grillo, presidente regione Lazio Zingaretti, sindaco di Roma Raggi e altri) sono stati richiamati i tanti traguardi scientifici e la diffusione dei servizi del “Bambino Gesù” oggi. I poli sanitari odierni sono quattro: oltre alla sede storica sul Gianicolo, la nuova struttura in viale Baldelli, i centri sulla costa a Palidoro e a Santa Marinella.

L’ “Ospedale del Papa” - come tradizionalmente viene chiamato dai cittadini romani - eroga 27 mila ricoveri annuali, 339 trapianti, 44 mila day Hospital, 80 mila accessi al pronto soccorso, 1 milione e 700 mila prestazioni ambulatoriali oltre a un servizio molto apprezzato di assistenza alloggiava pr 3.700 nuclei familiari dei piccoli pazienti ricoverati. In questi ultimi anni, inoltre, i servizi del “Bambino Gesù” si sono diffusi anche in altre paesi. E’ stato in particolare Papa Francesco a volere questa presenza di servizi ambulatoriali qualificati ad esempio in Cambogia, Repubblica Centrafricana, Giordania, Siria, Palestina, Georgia, Russia, Cina, Etiopia, nella forma di iniziative di assistenza attuate in collaborazione con strutture universitarie locali.

Il “Bambino Gesù” nella sua lunga storia è stato più volte visitato dai Papi dell’epoca: tra gli ultimi, Giovanni XXIII (1958), Paolo VI (1968), Giovanni Paolo II (1982), Benedetto XVI (2005) e Francesco nel 2013 la prima visita e nel 2018 la seconda alla struttura di Palidoro.

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Un messaggio rivolto ai giovani, sia credenti sia non credenti, perché sappiano vivere “nella gioia” crescendo “nella santità”: è questo il contenuto dell’esortazione apostolica “Christus vivit”, che a suggello del Sinodo dei Vescovi sui giovani papa Francesco ha firmato il 25 marzo nella Santa Casa di Loreto e che è stato presentato la mattina del 2 aprile in Vaticano. L’esortazione parla di giovani quali «missionari coraggiosi» chiamati a intraprendere «percorsi di fraternità» per vivere la loro fede in maniera genuina e consapevole.

Il testo è composto di nove capitoli, per 299 paragrafi, ed è caratterizzato da un forte invito a prendersi cura della gioventù, che il Papa definisce «una gioia, un canto di speranza e una beatitudine». Il Papa cerca le radici bibliche della realtà giovanile, richiamando varie figure di giovani le cui vicende sono narrate nell’Antico Testamento; descrive poi la gioventù di Cristo e si sofferma sulla figura di Maria, da lui definita con linguaggio attuale l’«influencer di Dio». Quindi propone una carrellata di santi morti giovani che hanno illuminato il cammino della Chiesa e dell’umanità: Sebastiano, Francesco d’Assisi, Giovanna d’Arco, il beato Andrew Phu Yen, santa Kateri Tekakwitha, Domenico Savio, Teresa di Gesù Bambino, il beato Ceferino Namuncurà, il beato Pier Giorgio Frassati, la beata Chiara Badano. Diversi di questi nomi sono cari all’opinione pubblica contemporanea perché hanno dato prova di una santità eroica e “moderna” commisurata ai tempi e alla diversa sensibilità spirituale delle giovani generazioni.

Accennando a «desideri, ferite e ricerche» che i giovani vivono, Francesco parla degli aspetti affettivi: «In un mondo che enfatizza esclusivamente la sessualità, è difficile mantenere una buona relazione col proprio corpo e vivere serenamente le relazioni affettive» scrive lasciando intendere il necessario impegno al controllo degli istinti e alla castità come valore di base che la Chiesa ha sempre raccomandato. 

Viene lanciato un appello a vivere il tempo della giovinezza come un «dono», evitando il rischio di stare «al balcone» o «sul divano», espressioni colorite che abbiamo già sentito pronunciare da Francesco. Secondo il Papa «l’impegno sociale e il contatto diretto con i poveri restano una occasione fondamentale di scoperta o approfondimento della fede e di discernimento della propria vocazione».

La ricerca della propria vocazione è il tema dell’ottavo capitolo, mentre il nono è dedicato al discernimento, cammino da compiere anche con l’aiuto di  guide spirituali dotate di particolari sensibilità. Il testo dell’esortazione post-sinodale risulta quindi un invito a stare accanto ai giovani, per annunciare loro il Regno di Dio con le parole e la sensibilità tipica dei nostri giorni.

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