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Mercoledì, 09 Marzo 2011 15:17

La quaresima nella tradizione Featured

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I 40 giorni che precedono la Santa Pasqua

di Carlo Lapucci

 

Per comprendere il senso che aveva, e in parte ha ancora, nel calendario la Quaresima bisogna rimettere un po’ indietro l’orologio, nel tempo in cui questo periodo era, per molta gente, il tempo peggiore dell'anno dal punto di vista della tavola, della salute, dei disagi e della sopravvivenza.
Il freddo, combattuto col focolare, gli scaldini, i bracieri, incrudiva in questa stagione, mettendo a dura prova il fisico. Le provviste alimentari, di chi doveva vivere dei prodotti della terra, cominciavano a scarseggiare: grano, vino, carne salata, frutta conservata, marmellate... di tutto si arrivava presto a grattare il fondo e spesso si cominciava a sentire la fame.
Anche il pollaio diceva di no: non si poteva distruggere la possibilità delle covate primaverili mangiando le galline, o usando le uova che a gennaio tornavano nei covi. Anche i conigli dovevano essere lasciati per la riproduzione.


Solo l'orto forniva qualche alimento povero: rape, cavoli, finocchi, carote, altre verdure: tutta roba buona, ma di scarso valore nutritivo se non viene accompagnata con grassi animali, olio, carne, zucchero, vino.
La tavola vedeva, nei casi migliori, insieme agli ortaggi, quanto si era riusciti a conservare, salvandolo dai bachi, dalle muffe, dai topi: patate, fagioli, polenta di castagne, cipolle, agli, fichi secchi, noci o altra frutta secca. Scarsi i salumi.
A questo va aggiunto il pesce secco, affumicato o salato, alimento unico o quasi a buon mercato, usato come vivanda, nel caso del baccalà, o come ingrediente per dar sapore ad altri piatti, come le aringhe, le acciughe, il tonno e le sardine.
È in questo desolante panorama alimentare che va vista la Quaresima: quanto abbiamo elencato era disponibile solo per persone che avessero di che procurarselo; ma non era il caso della maggioranza, soprattutto in annate di carestia. I contadini aumentavano di solito in questo tempo i debiti con il padrone, debiti che erano per lo più una condizione permanente.
La Chiesa designò questo periodo come un momento di penitenza e di astinenza, secondando una situazione generale di penuria e santificando le pene, che erano già nello stato delle cose. Spesso, combattendo gli stravizi dei ricchi, concorse anche ad esasperare la situazione precaria dei poveri, togliendo, insieme alla carne, l'uso di uova e latticini, roba meno cara e più sostanziosa che era avvicinabile anche dagli indigenti.
Il numero quaranta è collegato al periodo di purificazione fisica, la quarantena, come al tempo di penitenza e d'espiazione, di transizione dal male al bene spirituale, del viaggio simbolico verso la salvezza.
Quaranta giorni dura la pioggia del diluvio, quaranta anni passano gli ebrei nel deserto, quaranta giorni digiuna Cristo, quaranta giorni dura il racconto dell'Odissea, quaranta giorni è tradizionalmente il periodo d'incubazione e di durata delle malattie infettive.
Così quaranta giorni intercorrono tra Natale e Candelora (Purificazione delle Vergine), quaranta(sei) dura la Quaresima e quaranta sono i giorni tra Pasqua e Ascensione (Purificazione del corpo di Cristo prima di salire al cielo).
Nella tradizione popolare abbiamo il numero quaranta collegato alle acque (il Diluvio) come simbolo

di rigenerazione: nella tombola tale numero corrisponde alla piena, e sono noti vari proverbi del tipo:
Terzo aprilante
quaranta dì durante.
Se piove per Santa Bibiana
piove quaranta dì e una settimana.
Per la sincronia del mondo naturale, astronomico e liturgico, la Quaresima è il periodo di rigenerazione della natura nella vegetazione e nella vita animale, di ripresa della luce e del calore solare nell'ordine celeste, e di rigenerazione spirituale dell'uomo con la morte e la resurrezione di Cristo.
La Pasqua, festa mobile, è regolata sulla luna; i simboli a questa collegati sono della realtà naturale che si rigenera: il fuoco, l'acqua, la palma, l'uovo, la colomba. Cade la prima domenica dopo il plenilunio di primavera, quindi con un'ampia oscillazione nel corso degli anni.
Il computo della Pasqua, e di conseguenza della Quaresima, non è cosa che si possa fare agevolmente e senza qualche cognizione.
La tradizione popolare ha da dire la sua a questo proposito. Solo l'ironia e lo spirito, quando è possibile, aiutano ad affrontare le situazioni difficili. Così, invece di mettere le cose in tragedia, si preferiva metterle un po' sullo scherzo.
In luoghi disagiati e un po' isolati (esistevano e erano tanti) dove l'inverno, con la neve e le intemperie, il freddo, interrompeva le vie di comunicazione, tagliando per qualche tempo piccole comunità fuori dei rapporti col mondo, accadevano cose curiose.
Perfino a certi parroci, in rapporti difficili con le lettere e le matematiche, riusciva ostico questo calcolo e ricorrevano a mezzi empirici, al fine di determinare la data della festa.
Sarà mitologia, favola... ma non lo sarà proprio tutto se gli annali sono ricolmi di storie simili. Si racconta che alcuni parroci di chiesette alla fine del mondo, o sul cucuzzolo di montagne, usavano ammucchiare quaranta fascine il giorno delle Ceneri e, consumandone una per sera nel focolare, arrivavano agevolmente alla Domenica delle Palme. Ma si vuole anche che talvolta, rubandone alcune qualche fedele freddoloso, la Pasqua venisse spesso celebrata con qualche anticipo, tra le discussioni di fedeli poco convinti. Oppure, venuto dal bosco, all'insaputa del parroco, un altro carico di fascine, depositate sulle precedenti, la Pasqua sia venuta altissima, anche a maggio inoltrato, facendo allungare il collo ai parrocchiani.
Altri, pare, si affidavano invece a una zucca (di quelle che vuotate servivano da recipienti), nella quale mettevano (o dalla quale toglievano) una fava o un lupino al giorno per tenere la contabilità della difficile operazione. E anche qui, o i topi, o un intruso, o una disattenzione spostavano paurosamente la Pasqua o in pieno inverno, o verso i caldi dell'estate.
Il periodo appariva assai più lungo di quaranta giorni per le privazioni e il maltempo, tanto che sono nati diversi proverbi:
Chi vuole la Quaresima corta faccia debiti da pagare a Pasqua.
È più facile cominciare la Quaresima che arrivare alla fine.
I canti e la poesia medievali dettero una rappresentazione fantastica di questo periodo come una vecchia secca, stracciata, scarmigliata, scalza o in ciabatte logore, coronata d'agli e d'acciughe. Tiene in mano un piatto con due pesci ed è trainata su una carretta da due ronzini stenti.
È parente stretta della Befana (e esseri simili): non è difficile vedere che sono in fondo la stessa figura; ambedue, nei riti popolari, finiscono spesso al rogo rivelandosi come una medesima realtà sdoppiata. La Befana rappresenta l'anno vecchio che muore, la Quaresima (come il Carnevale) rappresenta la vecchia stagione che, morendo, lascia il posto alla nuova.
La Quaresima è detta spesso La Vecchia, oppure si maschera sotto altri nomi fantasiosi, e finisce bruciata, oppure segata. Le celebrazioni quaresimali si tengono in genere a metà del periodo, tra la terza e la quarta domenica (la mezza Quaresima) e sono solennità

modeste, anzi spesso sono giochi tipici del periodo quaresimale, che nell'occasione vengono celebrati con particolare affluenza di persone o sono svolti in occasione di fiere.
Si attenuavano le rigide regole restando fermi i divieti fondamentali, come quello di celebrare nozze: c'era una sospensione delle astinenze, mentre si facevano riunioni, giochi, divertimenti, sulla tavola comparivano i dolci quaresimali: cenci, schiacciata, biscotti.
Anche nella liturgia, tra i paramenti violacei, le cerimonie dimesse, appariva la gioia nella quarta domenica, detta in Laetare, dall'introito che comincia: Laetare Jerusalem...

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