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Nella vetrata della Natività le risonanze dell’arte cristiana

di don Lorenzo Cappelletti

Nella vetrata raffigurante il Natale, collocata al centro della navata sinistra della Basilica di san Giuseppe al Trionfale, due caratteristiche s’impongono all’attenzione fin dalla prima occhiata: da una parte, la presenza di angeli (ben nove) in attitudini diverse in tutte le zone della vetrata; dall’altra, lo schieramento, tutti sulla sinistra, di Maria, di Giuseppe e di un pastore.

Entrambe queste scelte compositive — dovute innanzitutto, c’è da credere, alla necessità di occupare al meglio gli spazi di una vetrata che si sviluppa in verticale — sono però anche il frutto di una felice intuizione. Permettono, infatti, di indirizzare la nostra attenzione, guidata dagli sguardi degli angeli, di Maria, di Giuseppe e di un pastore che sorregge un agnello, verso il Bambino Gesù posto in basso a destra, il quale, a dispetto della sua posizione decentrata, diventa così a giusto titolo il centro della raffigurazione. Attraverso lo sguardo rivolto da parte del Bambino Gesù all’agnello in braccio al pastore, si capisce poi il senso profondo di questa sua particolare centralità. Non bisogna mai dimenticare, infatti, che la nascita reietta di Gesù («non ci fu posto nell’albergo» per i suoi genitori: Lc 2,7) e il suo essere «avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12) sono un’evocazione della sua passione, della sua morte e del suo offrirsi in cibo per noi; in una parola: della sua Pasqua, del suo essere l’Agnello di Dio. Gli antichi Padri della Chiesa non a caso rimarcavano che il nome Betlemme in ebraico significa “casa del pane”.

Il testo letterario che sta dietro a questa vetrata è il Vangelo di Luca 2,1-16, che, rispetto alla narrazione del Vangelo di Matteo, si diffonde maggiormente nella descrizione della nascita di Gesù, facendo esplicito riferimento, fra l’altro, alla presenza di Giuseppe al momento del parto di Maria e al momento della visita dei pastori. E infatti Giuseppe, insieme a Maria, è mostrato in adorazione del bambino Gesù. Per quanto questo loro gesto ci sia familiare, non corrisponde a un dato della Scrittura né appartiene da sempre all’iconografia del Natale. In realtà s’impone solo a partire dal XV secolo a cominciare dall’ambito tedesco e italiano sulla base delle rivelazioni mistiche di santa Brigida e del cosiddetto Pseudo-Bonaventura, e forse, ancor più, in conformità al gesto di adorazione dei Magi attestato in Mt 2,11.

Nella nostra vetrata, sopra la mangiatoia, non mancano ovviamente il bue e l’asino. Anche in questo caso si tratta di un’aggiunta iconografica (nel racconto evangelico del Natale il bue e l’asino non compaiono). Quest’aggiunta però è molto antica (fin dall’inizio del IV secolo) e non sarebbe mai più stata tralasciata nel corso dei secoli, perché raffigura in chiave simbolica la profezia di Isaia 1, 3: «Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone»; e di Abacuc 3, 2 secondo la versione della Settanta: «Ti manifesterai in mezzo a due animali». Nell’interpretazione patristica dell’Antico Testamento, infatti, bue e asino simboleggiano i giudei e i pagani che, nell’economia del Nuovo Testamento, avrebbero riconosciuto come salvatore il Bambino Gesù.

Analizziamo anche gli angeli. Due, un cherubino e un serafino, raffigurati solamente con testa e alucce, stanno nella parte più alta della vetrata; sotto di essi, altri tre angioletti in figura completa, poggianti su nuvole e vestiti con colori probabilmente simbolici delle tre virtù teologali (giallo oro, verde e rosso), reggono un cartiglio dov’è scritto Gloria in excelsis Deo. Accanto a Gesù, sta un angioletto che gli sistema le fasce, mentre ancora più in basso altri due suonano degli strumenti a corda. La presenza degli angeli in basso accanto a Gesù, nell’iconografia del Natale, è piuttosto recente, risale anch’essa al XV secolo e si può pensare che, dato l’origine bavarese di queste vetrate degli anni Trenta del secolo scorso, per questo dettaglio ci si sia ispirati ai grandi pittori di quella regione (numerose xilografie di Dürer, ad esempio, presentano angeli attorno a Gesù Bambino). Ma attraverso un’apertura della stalla in cui è ambientata la scena principale s’intravede un nono angelo: è l’angelo che sotto un cielo stellato annuncia ai pastori la nascita del Salvatore (cfr. Lc 2, 8-12). La scena è raffigurata quasi in monocromia e in dimensioni molto ridotte, perché intende essere un flashback rispetto alla scena in primo piano.

La vetrata, delle medesime dimensioni delle altre poste lungo la navata (362 x 136), fu offerta in memoria di Angelico Coccia nel 1932 e fa parte di quel primo gruppo di 3 vetrate, comprendente anche lo “Sposalizio della Vergine“ e il “Sogno di Giuseppe”, che furono saldate alla Franz Mayer & Co. di Monaco di Baviera il 31 dicembre 1932, per un importo complessivo di 14.000 lire del tempo, dall’allora direttore della Pia Unione del Transito di San Giuseppe, don Walter Disler.  

La cornice della vetrata in forma di “grottesca” è simile a tutte le altre, ma all’apice contiene un elemento che si trova solo qui: un cuore sovrastato dalla croce, dalla cui base fuoriescono due rametti. Potrebbe trattarsi di un’evocazione del Sacro Cuore di Gesù. A sostegno di quest’ipotesi, si potrebbe portare la data dell’enciclica Caritate Christi compulsi dedicata proprio il 3 maggio 1932 da papa Pio XI al Sacro Cuore di Gesù. Quei due rametti, allora, potrebbero essere stati “un’incomprensione” delle fiamme che nell’iconografia tradizionale del Sacro Cuore di Gesù fuoriescono alla base della croce o una “libera interpretazione” dell’iconografia tradizionale del Sacro Cuore. 

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