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Suor Irma, nonostante l’età avanzata e i pericoli, è rimasta al suo posto a Chipene (Mozambico). Lo scorso settembre è stata uccisa dalla follia jihadista. Non scompaia il ricordo suo e di tanti altri che offrono la vita per Cristo.   

di Alba Arcuri

È uno strano scherzo del destino, quello di conoscere qualcuno – il suo nome, il suo volto, quello che ha fatto – dopo che è venuto a mancare. è accaduto anche nel caso di Irma Maria De Coppi, suora comboniana di 83 anni, uccisa in Mozambico, a Chipene, da un commando jihadista il 6 settembre 2022.

L’abbiamo conosciuta così, nel clamore suscitato dal suo assassinio, ma lei in silenzio fin dal 1963 era in missione in Mozambico, subito dopo aver professato i voti religiosi a Verona, ed ha prestato servizio in questo Paese fino alla fine di suoi giorni. Una terra il Mozambico attraversata da conflitti, violenze, carestie, siccità. Suor Irma era consapevole dei pericoli dell’ambiente in cui viveva, ma si adoperava per aiutare le famiglie insieme agli altri missionari. Nella parrocchia dove viveva erano state accolte 400 famiglie fuggite da zone di conflitto. Aveva anche rilasciato alcune interviste per denunciare la situazione difficile nel Paese, soprattutto negli ultimi due anni. Un intensificarsi delle minacce jihadiste, soprattutto marcate Isis. E una guerra per il controllo dei giacimenti del gas, di cui la zona è ricca.

Suor Irma Maria se ne è andata in fretta: il commando di una ventina di terroristi ha attaccato la missione di Chipene, sparando diversi colpi di arma da fuoco, uno ha colpito alla testa suor Irma Maria, mentre le altre quattro suore, Angeles, Paula, Eleonora (anche questa italiana) e Sandrine e alcune studentesse che soggiornavano nella missione, sono riuscite a fuggire, tra le grida. Due missionari fidei donum (sacerdoti diocesani che fanno i missionari in diocesi straniere),  don Lorenzo Barro, 56 anni, e don Loris Vignandel, 45 anni, entrambi della provincia di Pordenone, erano nella stessa missione e si sono salvati. Sono stati “graziati”, come dice don Loris che al telefono  racconta quei tragici momenti: «Dopo cena, intorno alle 8 e mezza, io e don Lorenzo eravamo già nelle nostre rispettive stanze. Abbiamo sentito grida e botte, le porte della chiesa che sbattevano. E gli spari. Uno di questi, ma lo abbiamo saputo dopo, ha raggiunto suor Irma Maria.  L’attacco è durato alcune ore. Siamo rimasti chiusi nelle nostre stanze con porte e finestre serrate, in attesa del peggio; è lì che ho preso il telefono e ho inviato un messaggio su Telegram».

Il messaggio di don Loris era un ultimo saluto agli amici, ai parenti, ma anche l’invocazione del perdono per coloro che di lì a poco avrebbero potuto ucciderlo. «Perdonateli anche voi», era scritto nel messaggio. «I terroristi hanno sfondato le porte, hanno appiccato il fuoco all’edificio e ai due lar, due convitti maschile e femminile, dove soggiornano gli studenti. – racconta ancora don Loris – Sono passati anche davanti alle nostre porte e posso garantire che si sarebbero sfondate molto facilmente, ma non le hanno toccate». 

C’è però una ragione, secondo don Loris, perché sono stati risparmiati. Non per pietà. «Forse perché raccontassimo a tutti l’orrore che stavamo vivendo. Una sorta di monito, di avvertimento per tutta la popolazione dei villaggi vicini», dice.  L’avvertimento c’era stato la mattina prima dell’attacco. Uno degli studenti del convitto era stato allertato da qualcuno del villaggio: «Cosa ci fate ancora lì nel convitto; non sapete che verranno presto a bruciarvi?». E così i missionari avevano deciso di rimandare a casa i propri studenti. Anche le studentesse erano state avvertite. Ma non tutte erano riuscite a tornare a casa. E così alcune giovani che non avevano un passaggio per tornare a casa erano rimaste nella missione, insieme alle suore fra cui Irma Maria.  Si sono salvate dalla furia del commando e dalle fiamme grazie a suor Eleonora, che le ha fatte fuggire nella foresta.

Il racconto di don Loris dà il senso, fa percepire il peso e la portata di che cosa significhi vivere in missione in Mozambico. «È stata una azione dimostrativa e ben organizzata. Chi l’ha compiuta conosceva bene noi, la missione, i sentieri, il territorio. Suor Angeles, una delle comboniane superstiti, ci ha poi raccontato che i componenti del commando jihadista erano almeno venti, tutti incappucciati. L’hanno afferrata da dietro, ma è riuscita a divincolarsi e a scappare». L’obiettivo del commando, secondo don Loris, sarebbe quello di seminare il panico, mettere in fuga i missionari e i loro studenti, lanciare un avvertimento alla gente. Per avere poi campo libero. Ma un altro movente potrebbe essere quello di trovare cibo e soldi: le cose spesso vanno insieme.  Altre due persone del villaggio sono state accoltellate alla gola, sulla strada poco distante, e i missionari hanno visto decine di persone fuggire dal villaggio. 

«Già papa Francesco – racconta don Loris –  durante la benedizione urbi et orbi a Pasqua aveva chiesto di pregare per la difficile situazione a Cabo Delgado, altra zona dove gruppi armati si contendono il territorio.  Chipene si trova poco più a sud, è la prima parrocchia che si incontra venendo da lì». 

Sarà difficile riprendere le attività missionarie. Non solo perché gli edifici, la chiesa, i lar sono stati incendiati. Ma perché la gente è scappata e una pastorale senza la gente non avrebbe senso.

 

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