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24 ottobre, Memoria liturgica di San Luigi Guanella

Apostolo della carità e padre di ogni ferito nella vita

di Vittorino Andreoli

Considerare oggi che cosa ha saputo fare un prete di montagna è di stimolo e di insegnamento non solo per quelli che credono in Dio e nel Vangelo, ma ad ogni persona che tenga a cuore e rispetti l’uomo. Mostra prima di tutto quanta forza esprimano una convinzione e una fede.
In questo don Guanella è stato un folle tra i folli, per parafrasare san Paolo. Aveva l’impressione di fare sempre poco, troppo poco, poiché si ricordava di quanto è scritto nei Vangeli, che con la fede è possibile trasportare le montagne al mare.
Lui non le ha spostate topograficamente, ma ha portato le sue convinzioni testarde e da montanaro in tutto il mondo. Così ha fatto amare i disabili di mente, i mentecatti, dappertutto.
Oggi quel paesino sperduto dove è nato, Fraciscio, che allora contava 240 abitanti nell’Alta Valle Spluga, è noto nel mondo come il luogo dell’amore per la follia.
In questo momento storico in cui si ripensa alla follia e ai luoghi in cui i processi di educazione e terapia possano risultare più fruttuosi in vista dell’inserimento sociale, penso che sia utile tenere in considerazione, sia pure come esempio, l’opera che don Guanella ha creato per i suoi buoni figli, i disabili della mente.
Mi paiono tre gli elementi principali di straordinaria attualità.
Il primo è di non separare i disabili mentali rigidamente da altre forme di povertà, di non credere dunque a una distinzione diagnostica rigida, ma di considerare che povertà diverse danno stimoli reciproci evitando le comunicazioni automatiche che finiscono per essere monotone e non più percepite.
L’idea insomma è quella di una “famiglia” in cui soggetti tra loro diversi possano meglio integrarsi proprio per la loro diversità.
Il modello di famiglia si può estendere, come nel caso delle comunità di don Luigi Guanella, alla dimensione dei piccoli aggregati di montagna in cui egli ha vissuto fino a 40 anni, prima di dedicarsi completamente agli ultimi.
Il secondo elemento è quello dell’importanza affettiva che deve animare ogni opera umana. è questa la forza della relazione e dell’insieme, poiché l’affetto tiene conto prevalentemente dell'altro, e non di sé individualmente considerato. Ciò ha come conseguenza l'aiuto reciproco.
è questo l'intervento più importante perché è continuo, quotidiano, completamente diverso dalla presenza una tantum di un medico specialista o di uno psicologo clinico.
Il terzo elemento riguarda gli “operatori”. Per esserlo (o diventarlo) bisogna credere, sapere bene che cosa si propongano e sperano di ottenere nel loro operare.
Vi sono molti livelli di fede possibile. Vi è una fede nella scienza, nelle possibilità di scoperte future; vi è una fede nell'umanesimo e di come l’uomo possa organizzarsi nella città della terra; vi è poi la fede in Dio, in colui che ha fatto il cielo e la terra.
Ritornando a don Guanella, per paradosso possiamo dire che egli credeva e basta. Era un uomo che non sapeva far altro che credere. Così fuggiva anche dalle delusioni del presente, dai limiti che impone.
Quando qualcosa sembrava non funzionare, allora inventava una nuova opera, poiché credere presuppone la resistenza delle rocce della montagna. E se credi, non sei mai solo.
E don Guanella insegna che occorre coraggio, quel coraggio che deriva dall’amore. E a me pare che amore e coraggio manchino nella psichiatria contemporanea. E senza passione la psichiatria diventa burocrazia e l’operatore un funzionario di “concetto”, un burocrate.
La psichiatria dello spendere poco mentre si constata che anche quel poco non c’è, con gli operatori che si sentono di non poter fare ciò che sarebbero in grado di compiere e che avvertono forte una frustrazione. Operatori che vengono demotivati e che si rifugiano in teorie con la sola funzione di sublimare in idee ciò che invece dovrebbe esprimersi in aiuti concreti ai malati.
La psichiatria delle équipe, perché in questo modo anche se si è assenti il cliente trova sempre un operatore sostitutivo e si evitano (paradossalmente) proprio quei legami che sono alla base dei sentimenti e della cura efficace.
La psichiatria del minimalismo, con il dovere di seguire i protocolli che indicano cosa si deve fare, come minimo, per non essere accusati di incapacità e perseguiti penalmente.
Se don Guanella guardava solo all’altro, il mondo di oggi ha condizionato gli operatori a guardare a se stessi, e invece di renderli educatori-terapeutici, li ha ridotti a essere dei bisognosi.
Questa paradossale riduzione della psichiatria è sperabile serva a mostrare quanto lontano sia da un lavoro che uno strano uomo, ma santo, ha compiuto un secolo fa con grande successo.  

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