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di Franco Cardini 

La quaresima, cioè la «quadragesima», è nell'anno liturgico cattolico il periodo di quaranta giorni che precede la Pasqua. Comincia con il mercoledì delle Ceneri e termina con la Resurrezione, cioè con l'accensione del lumen Christi, del fuoco nuovo nelle chiese spoglie di arredi, la notte di Pasqua.

Oggi si parla molto, forse troppo, del carnevale. Un po' perché il nostro «felice» tempo ha un bisogno feroce di evadere (nella nostalgia del passato, nel sogno del futuro, nell’altrove dell'utopia politica, nel bengodi nella festa), un po' perché antropologia e folklore vanno di moda, e il carnevale è uno dei momenti privilegiati da questo tipo di studi.

La quaresima, nella mentalità corrente, è l'esatto opposto del carnevale. E del resto era proprio questo il messaggio delle feste popolari d'una volta, quelle che ora, di quando in quando, si ricomincia a fare o che, in certe zone della nostra Italia, non si è mai smesso di fare. Roghi durante i quali si brucia la «vecchia», cerimonie serio-facete durante le quali la si sega in due come un tronco; la «pentolaccia», la celebrazione della mezza quaresima, come rottura del digiuno e della penitenza. Si rompe la vecchia pignatta, e poi ci si azzuffa per acchiappare i dolciumi che escono dalla sua povera pancia sventrata. Un tempo, si facevano in piazza i tornei fra il grasso e ridanciano Re Carnevale e la Vecchia allampanata quaresima, l'uno con i suoi allegri e opulenti trofei di salsicce, l'altra con i magri attributi dell'aringa salata. E uno studioso di genio, Carlo Ginzburg, ha descritto l'era susseguente alla Controriforma come un grande «trionfo della quaresima» nell'Europa cattolica.

Dalla spensieratezza alla gioia dello spirito

In realtà, carnevale e quaresima si sostengono a vicenda: sono l'uno l'altra faccia dell'altro. Nell'allegria di carnevale c'è un risvolto feroce, terribile, macabro. Ricordate il film Orfeo negro! Avete presente l'indomani del martedì grasso di Rio de Janeiro, quando si fa implacabilmente il conto delle vittime della festa? E d'altro canto la quaresima, che comincia con il mesto rito delle ceneri, accompagna il corso dell'anno nuovo verso la primavera, la stagione del bel tempo che ricomincia e dei fiori promessa di frutti e di messi. Il carnevale coincide, nella cultura tradizionale europea, con il periodo nel quale si macella il porco («festeggiato» il 17 gennaio, per sant'Antonio Abate), se ne consumano in un'allegra «orgia» alimentare le parti non destinate alla conservazione e si dà fondo alle riserve di grassi delle dispense contadine. Poi, con l'inizio della primavera, mentre le nuove scorte di carne conservata maturano per il consumo autunnale, ci si dà a un periodo di astinenza consumando legumi e verdure. 

Dieta secca, leggera, in attesa di tornare, appunto con l'inizio della primavera, all'alimentazione a base di grassi e di proteine che si schiuderà trionfalmente con le uova, l'arrosto d'agnello e i dolci di Pa­squa. Durante il medioevo, il pesce non era considerato carne in quanto appartenente a una specie a sangue freddo; esso non rompeva pertanto il digiuno. L'Europa medievale, molto più ricca di pesce (specie di pe­sce d'acqua dolce) dell'attuale, ne è vissuta e dell'aringa baltica salata ha fatto l'emblema sì della povertà, ma anche della penitenza. Del resto, le grandi pescherie dei signori e delle abbazie rifornivano le mense impor­tanti di delicatissimi cibi quaresima­li: storioni, lamprede, salmoni, tro­te, lucci, muggini dalle carni pregiate più di quelle della miglior selvaggina. La quaresima occupa le settimane a cavallo fra inverno e primavera. Sic­come la Pasqua è legata alla prima luna dopo l'equinozio primaverile, la quaresima cade sempre – mobile anch'essa, come la festa alla quale si riferisce - fra febbraio e marzo e tra marzo e aprile. Sono questi i mesi del vero «distacco» fra l'anno vecchio e quello nuovo.

Per i cristiani, tuttavia, la quaresima non ha soltanto il significato di un periodo di «purificazione» proto-pri­maverile, che si potrebbe avvicinare, da un punto di vista antropologico, ai vari riti di purificazione presenti un po' in tutte le religioni. Questo è, certo, un quadro da tener presente: ma non esaurisce il problema. Anche il rapporto fra la quaresima cristiana e il Ramadan musulmano, il mese di digiuno fissato per ricordare la disce­sa del Corano dal cielo, va tenuto presente: ma serve più a sottolineare le differenze che non le somiglianze fra i due periodi.

Il cristiano vive essenzialmente dell'imitazione del Cristo. E Gesù, secondo la tradizione evange­lica, prima di iniziare la sua pubblica attività di predicatore alle folle si ri­tirò sull'erta montagna che sovrasta l'oasi di Gerico, a est di Gerusalem­me, per pregare e digiunare. 

Digiuno e preghiera: due note per una melodia di speranza

Ora, sulla montagna della “quaresima”, sorge un celebre monastero ortodos­so. Il digiuno e la preghiera sono due strumenti raccomandati da Gesù nel Vangelo per vincere le tentazioni car­nali; ed è proprio per piegare la sua carne, la sua natura umana che - es­sendo perfetta - non è esente da nes­suno degli stimoli che le sono natu­ralmente propri, che egli ricorre al digiuno e alla penitenza. Difatti, le tentazioni che egli subisce sul monte della “quaresima” sono appunto quel­le carnali: la fame e il potere. La sua visione «dal pinnacolo del tempio», di «tutti i regni della terra», è l'esal­tazione massima di quella sete di co­mando, di quella volontà di potenza, che è lo stadio più terribile del mate­rialismo. Tanto più terribile poi in quanto può abilmente camuffarsi da tensione spirituale: in tutta la storia umana - da Alessandro a Genghiz Khan a Hitler - il potere ha avuto i suoi terribili “santi”, i suoi asceti che vivevano soltanto in esso e per esso, esercitandolo con un'abnega­zione, con un quotidiano oblio di se stessi, da sembrare paradossalmente una “virtù”.

Ma il Cristo, che è re, ma non lo è di questo mondo, fugge alle profferte di regno fattegli dal Tentatore, così come fugge davanti alla folla che lo vuol proclamare sovrano. 

Soltanto dinanzi ai pastori e ai magi venuti da lontano, oppure nell'ora del dolore e dell'ignominia, dinanzi a Pilato, egli consente - solo allora, debole come un bambino nella mangiatoia e dere­litto come l'ultimo dei condannati - ad affermare alta la sua regalità, il suo diritto allo scettro e alla corona.

Una penitenza animata da gioia primaverile

Celebrando la quaresima che comincia con l'assunzione del­le ceneri a ricordo della pochezza e della labilità della vita e del corpo dell'uomo, il cristiano si prepara a condividere la gloria regale della Re­surrezione, a vivere la vita eterna nel Cristo Dio. Per questo, nel digiuno e nella rinunzia, Gesù - dopo la fuga imposta a Satana - fu servito dagli angeli. La spiritualità cristiana fa del Cristo della “quaresima” il modello, la misura dell'ascesi, cioè della rinunzia al mondo e del dominio di se stessi in vista e in preparazione del premio. Ogni momento penitenziale, va quindi vissuto con gioia: «quando digiunate, profumatevi la testa», dice Gesù che detesta l'ostentazione e l'ipocrisia, che anzi ama la vita, le feste, i banchetti con gli amici. Allo stesso modo Francesco d'Assisi, do­po una vita quaresimalmente vissuta in rinunzia, in punto di morte, chiese che gli fosse preparato un suo dolce preferito: così celebrò la gloria e la gioia della sua Pasqua, il suo passag­gio da questa vita alla vita eterna. I biscotti a forma di lettera dell'alfa­beto (i «quaresimali») e le scale di pasta dolce o di cioccolato dei nostri bambini, a metà quaresima, stanno appunto a ricordare che non v'è pe­nitenza senza attesa di gioia e di ri­compensa. “Spezzare” con un dolce la penitenza quaresimale, quando appunto si “spezza” la quaresima a metà della sua durata, ha il senso profondo della ricerca della letizia anche nella penitenza. Per questo Gesù, dopo aver ricordato che «non di solo pane vive l'uomo», vorrà man­giare la sua Pasqua con gli Apostoli e spezzerà volentieri il pane con i pel­legrini di Emmaus, riqualificando il cibo quotidiano con la sua benedi­zione.  

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