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di Giovanni Cucci

Le 5 fasi “discendenti” riscontrate da E. Schuchardt e descritte nell’articolo precedente, non costituiscono l’esito ultimo della vicenda; nuove strade possono emergere a partire da questa perdita. 

Stadio 6: l’accettazione.

Questa fase che, come precisato, non è affatto un esito necessario, nasce da una sorpresa. Il soggetto ha perso tutto, si trova completamente impotente, si rende conto con amarezza che non può gestire più nulla della sua vita come prima, l’unica cosa certa è, oltre alla crisi, alla malattia, al problema che lo assilla, il senso di vuoto sconfinato. È a questo punto che stranamente da quel vuoto possono sorgere nuove inaspettate possibilità di vita, spesso mai intraviste prima: quel vuoto, quella perdita può diventare anche una liberazione, riconoscendo l’ingresso nella propria vita di un tipo di esperienza mai sperimentata prima.

Il colpito si rende conto di esistere ancora, è toccato dal fatto di non essere solo, di potersi ancora servire dei suoi sensi. Su di lui ricadono un gran numero di percezioni, di esperienze, di cose vissute che sempre più lo portano a concludere: “Solo ora riconosco!”. Io sono, io posso, io voglio, io mi accetto, ora vivo con la mia peculiarità individuale. Questa fase è perciò individuata come accettazione; non vivo contro, ma con la crisi. È accettazione, che non significa rassegnata rinuncia, ma che può essere intesa già come condizione rappacificata. L’accettazione, non una risposta affermativa di consenso. Nessuno può accettare di buon grado perdite pesanti, ma si può imparare, nell’elaborazione della propria crisi, ad accettare l’inevitabile… l’accettazione è quindi il superamento dei limiti della propria coscienza, che ora si amplia inaspettatamente. La persona è quindi divenuta capace di accettare.

Stadio 7: l’attività.

Nasce una nuova ed impensata fase, come si diceva, che paradossalmente libera altre energie e apre ad altri desideri, soprattutto si cerca di valorizzare quello che sta capitando nei confronti di altri. In altre parole proprio attraverso la sciagura capitata ci si rende responsabili verso altre persone attraversate dalla stessa esperienza e si capisce che si potrebbe essere importanti per loro, che questo periodo della vita, non è inutile, ma ha insegnato qualcosa che ha marcato per sempre la persona. Anzitutto ha accettato se stesso come un “diverso”, diverso cioè dai criteri che lui stesso aveva posto come significativi per la vita; ora sperimenta che una condizione impensabile libera nuove energie e possibilità anche se dovrà rinunciare per sempre a quelle del passato.

I colpiti riconoscono che non è affatto decisivo ciò che si possiede, ma quello che si fa con ciò che si ha! Direttamente ed indirettamente si sviluppa nei colpiti un capovolgimento, una ristrutturazione dei valori e delle norme sulla base di esperienze rielaborate, non all’esterno, ma all’interno del vigente sistema di norme e valori. Valori e norme restano inalterati, ma si strutturano in modo nuovo attraverso l’ottica modificata.  

Stadio 8: la solidarietà.

Questo stadio sorge in stretta connessione con la dolorosa e combattuta presa di consapevolezza della fase precedente: lo sguardo è posto fuori da se stesso, teso a riconoscere cosa si potrebbe fare per un altro e anche come comunicare la propria esperienza; è una forma di conversione, ciò che si vorrebbe buttare viene scoperto come una ricchezza imprevedibile che comunque cambia la vita.

È questa ad esempio l’esperienza di C. Imprudente, fondatore a Bologna dell’associazione “Accaparlante”, affetto da grave handicap motorio e di parola. In un libro autobiografico (Vita! Appunti per una cultura dell’handicap), egli indica la svolta avvenuta nella sua esistenza, passando dalla fase di protesta verso Dio e la vita a motivo del proprio handicap alla fase della solidarietà; questa svolta è avvenuta quando ha trovato accanto a sé delle persone che lo hanno ascoltato con affetto ed interesse coinvolgendolo nei loro progetti. In tutto ciò egli non è fisicamente guarito, ma si è scoperto tuttavia felice di vivere. È come se il problema che assillava la persona, pur sempre più presente e terribilmente operante, non costituisse più il fuoco dell’attenzione della persona, perché altre realtà ne hanno preso il posto, o per meglio dire si tratta sempre della stessa cosa ma che ha portato verso altre direzioni, progetti idee, attività.

È l’ultima fase del cammino.

Certo, conclude la Schuchardt, pochi handicappati sono arrivati a questa fase: ma anche pochi non handicappati. Stupisce rilevare come il fattore decisivo e discriminante in questo cammino non sia affatto costituito dalla presenza o meno della salute fisica o dall’aver risolto il problema: le possibilità di giungere alla fase della solidarietà sono uguali in tutte le situazioni, in chi ha avuto molto e in chi non ha avuto nulla. 

 

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