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L’Ascensione: secondo mistero glorioso

di O. De Bertolis

L’autore della lettera agli Efesini scrive che «colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra dei cieli, per riempire tutte le cose». è un’espressione molto bella, con la quale ci si mostra come Gesù vuole non solo attirare a sé tutte le cose, come aveva detto, riferendosi alla sua Croce: «Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me», ma anche riempire tutte le cose della sua vita, quelle animate e quelle inanimate, l’uomo e il cosmo stesso, mediante l’effusione dello Spirito Santo. Di questa effusione continua, che attraversa tutta la storia, Lui è il Pontefice, il Mediatore, il vero ed eterno Sacerdote. L’autore della lettera agli Ebrei vede realizzata in Cristo la figura dell’antico sacerdote, che secondo la legge mosaica, oltrepassava il velo del Tempio ed entrava nel santuario per compiere l’espiazione: Gesù infatti oltrepassa i cieli, ed entra non in un tempio costruito da mani d’uomo, ma nel cielo, sempre vivo ad intercedere in nostro favore, e offre non sangue di tori o vitelli, come nell’antica alleanza, ma il suo proprio sangue. Come infatti abbiamo contemplato Gesù prostrato a terra nella sua agonia, al Getsemani, dove pregò per i suoi amici, effondendo il suo sangue per la remissione dei peccati, così ora contempliamo lo stesso Gesù, non più prostrato nel dolore, ma innalzato nella gloria, ad esercitare lo stesso ministero sacerdotale offrendo se stesso.
Dall’effusione del suo sangue, dal suo sacerdozio sempre vivente, scaturisce per tutti la grazia dello Spirito Santo, per la quale tutto il Corpo mistico di Cristo, la Chiesa, viene continuamente edificata. Così – prosegue la lettera agli Efesini – Gesù stesso ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come pastori e maestri. Queste parole non vanno lette solo come una divisione di ruoli, nel senso che Gesù stabilisce diverse vocazioni o stati di vita nella Chiesa, ma, più profondamente, nel senso che a ognuno, qualunque sia il suo stato di vita nella Chiesa, laico o chierico, religioso o vedova, uomo o donna, vengono dati doni adatti per l’esercizio dell’apostolato, conformemente alla propria vocazione. E così tutti sono chiamati all’insegnamento, non nel senso più strettamente magisteriale, ma nel senso più diffuso di reale capacità di dare a Lui testimonianza con la parola e soprattutto con le opere; ognuno riceve i doni della profezia, cioè di parlare in nome di Dio, di discernere la realtà con la sapienza che viene da Lui, per ricondurre a Lui tutte le cose; ognuno, e non solo dunque i sacerdoti – pensiamo ad un padre o a una madre con i propri figli – è, a suo modo, pastore, capace cioè di condurre qualcuno al vero e buon pastore, che è Cristo, di curarlo e assisterlo come fa il pastore con le sue pecorelle.
Così san Paolo, sempre nella lettera agli Efesini, applica a Gesù asceso al cielo quanto scrive il salmo 68: «sei salito in alto conducendo prigionieri, hai ricevuto uomini in tributo; anche i ribelli abiteranno presso il Signore Dio». Possiamo qui contemplare come la sua salita al Padre è anche la nostra salita, come la nostra umanità, prigioniera del male, continuamente viene da Lui innalzata e liberata, e gli stessi ribelli vengono, dalla sua paziente e costante intercessione, ricondotti al Padre di ogni misericordia. E infatti il salmo prosegue: «Benedetto il Signore sempre; ha cura di noi il Dio della salvezza. Il nostro Dio è un Dio che salva, il Signore Dio libera dalla morte». Tutto questo continua a fare il buon Pontefice asceso al cielo per noi: «accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia, e trovare grazia, ed essere aiutati al momento opportuno». Ascoltiamo Giovanni che dice: «Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati, e non solo per i nostri, ma per quelli di tutto il mondo». Contemplare questo mistero è entrare nel tempio, è lasciarsi rivestire dalla grande preghiera di Gesù, è lasciarsi innalzare e risollevare continuamente da Lui, per potere consolare gli altri con la consolazione con la quale siamo consolati noi stessi da Dio.
 
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