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di Gabriele Cantaluppi

E' sempre più diffusa, all’interno delle celebrazioni liturgiche, l’abitudine di sottolineare alcuni momenti con gli applausi. Anzi, spesso sono gli stessi sacerdoti a sollecitarli. E' bene?

«Là, dove irrompe l’applauso per l’opera umana nella liturgia, si è di fronte a un segno sicuro che si è del tutto perduta l’essenza della liturgia e la si è sostituita con una sorta di intrattenimento a sfondo religioso» scriveva il cardinal Ratzinger nel suo libro Introduzione allo spirito della liturgia.

Coloro che condividono questo pensiero ritengono che il tempio di Dio non è il luogo degli applausi, perché con l’applauso si sposta l’attenzione: si celebra l’uomo al posto di Dio. L’applauso è sempre in relazione agli uomini, quando fanno qualcosa di bello, qualcosa che ci piace; si smarrisce quell’atteggiamento di meraviglia e gratitudine che il fedele dovrebbe avere durante la celebrazione e trasformiamo la chiesa in un teatrino.

Forse, per un giudizio più sereno, si deve considerare in quali momenti oggi si fanno scrosciare gli applausi, anche se bisogna mettersi in testa che la liturgia non è proprietà del sacerdote celebrante e dunque non deve diventare spettacolo o  intrattenimento. è un errore molto grave: nel nome di una errata idea di creatività a  volte si commettono banalità, scorrettezze e sciatterie.

Nella liturgia latina l’applauso non è un’usanza del tutto nuova: quando sant’Agostino predicava, veniva spesso interrotto con applausi, perché gli ascoltatori esprimevano l’approvazione per quanto egli proponeva. Non si applaudiva a lui che parlava, ma al contenuto della sua predicazione, come spiegano i testi che raccontano questa abitudine.

Questo è il vero discriminante:  la realtà è che oggi si applaudono gli uomini e non l’opera di salvezza. 

Oggi il battere le mani è manifestare la propria gioia e partecipazione all’evento compiuto da qualcuno al quale noi vogliamo manifestare la nostra piena approvazione: battesimo, matrimonio e perfino le esequie.

L’applauso durante le celebrazioni liturgiche è stato abbandonato quando il culto pubblico ha preso una visione mistico-sacrale, mettendo in ombra l’aspetto conviviale di agape. Nella messa tridentina di san Pio V il senso di mistero è molto vivo: all’altare c’è solo il sacerdote, e la partecipazione attiva del fedele (cioè la parte parlata) è ridotta al minimo: egli partecipa unendosi al sacerdote nella sua grande preghiera sacerdotale, intimamente, nell’adesione del cuore e della fede. 

Dopo il Concilio Vaticano II l’altare è rivolto verso il popolo, la lingua è quella del parlare comune, e questo spostamento verso la comunicazione diretta può portare, se spinto troppo oltre, a degli eccessi, che in realtà accadono: dialoghi continui anche fuori quelli segnalati, improvvisazioni, perdita del senso del sacro, del mistero, della trascendenza.

L’interrogativo è se l’applauso sgorga per la realizzazione dell’opera salvifica (sacramento) celebrata o per esprimere un particolare consenso alle persone che  hanno ricevuto il sacramento quale dono della misericordia del Padre. 

La 68° Settimana liturgica, tenutasi a Roma nell’agosto 2017, ha avuto come tema Una Liturgia viva per una Chiesa viva, in grado di dire e comunicare il mistero di Dio all’uomo di oggi. E nell’incontro conclusivo, papa Francesco ha invitato a vivere la liturgia da protagonisti e non da spettatori, perché la liturgia è vita e non un’idea da capire. Essere protagonisti si esprime anche con la ritualità dei gesti. 

Nella loro esperienza  i sacerdoti sanno che la morbidezza, l'affabilità, il sorriso e qualche volta il lasciar correre sono più fecondi e comunicativi di tutte le lezioni di apologetica che potrebbero tenere dal pulpito con la faccia truce: da qui viene anche l’accettazione, magari obtorto collo, di qualche applauso in occasione di celebrazioni.

Per concludere: non si tratta qui della condanna del gesto in sé, ma dell’uso che di questo si fa nell’indirizzarlo, anche se si deve riconoscere che, quasi sempre, è per la motivazione umana.  

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