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a cura di Gabriele Cantaluppi

Saremmo stati immortali se non ci fosse stata la disobbedienza di Adamo ed Eva e saremmo sempre vissuti nella comunione piena con Dio e senza la prospettiva della morte?

Un bambino adottato da una famiglia entra nella casa e condivide tutti i beni, ma soprattutto è amato come un figlio concepito nel grembo di quella madre. Così è stato per il genere umano: sono chiare le parole del libro della Genesi. Il secondo e il terzo capitolo sono pieni della tenerezza di Dio, che fa coabitare l’uomo con lui e lo va a trovare alla brezza della sera, cioè nell’intimità del cuore. Ognuno può dare la propria risposta alla domanda iniziale, ma è più importante attenersi ai fatti, così come sono avvenuti: il peccato originale c’è stato, con tutte le sue conseguenze per il genere umano.

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La vita del cristiano è intessuta attorno all’Eucaristia da cui si prende luce, energia e vitalità per testimoniare l’evangelo di Gesù.

di Gabriele Cantaluppi

Una mia amica è andata a confessarsi perché aveva tralasciato  la messa di domenica e riteneva di aver commesso un peccato mortale. Il sacerdote le ha detto che  non andare a messa è peccato grave, ma non mortale. Io sono certa che non andare a messa di domenica è un peccato mortale, perché viola il terzo comandamento. O si può sostituirla andando in un giorno feriale?

Giovanni Paolo II, nell’esortazione post-sinodale Reconciliatio et paenitentia del 2 dicembre 1984, ha voluto ricordare che nella dottrina della Chiesa il peccato grave si identifica col peccato mortale:

«Resta sempre vero che la distinzione essenziale e decisiva è fra peccato che distrugge la carità e peccato che non uccide la vita soprannaturale: fra la vita e la morte non si dà via di mezzo [...] perciò, il peccato grave si identifica praticamente, nella dottrina e nell’azione pastorale della Chiesa, col peccato mortale» (n. 17). Non esiste pertanto una terza specie di peccato, perché tutti i peccati gravi sono mortali e tutti i peccati mortali sono gravi.

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di mons. Tonino Bello

«Rimase con lei circa tre mesi. Poi tornò a casa sua». Da Nazareth era quasi scappata di corsa, senza salutare nessuno. Quell'incredibile chiamata di Dio l'aveva sconvolta. 

Vicino a Elisabetta aveva portato a compimento il noviziato di una gestazione di cui cominciava lentamente a dipanare il segreto. Ora bisognava scendere in pianura e affrontare i problemi terra terra a cui va incontro ogni donna in attesa. Con qualche complicazione in più. Come dirglielo a Giuseppe? E alle compagne, con cui aveva condiviso fino a poco tempo prima i suoi sogni di ragazza innamorata, come avrebbe spiegato il mistero che le era scoppiato nel grembo? Che avrebbero detto in paese?

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di Madre Anna Maria Canopi osb

Gesù «conosceva quello che c’è nell’uomo» (Gv 2, 25). Con quest’affermazione si chiude il secondo capitolo del Vangelo secondo Giovanni. E, subito, il terzo capitolo si apre con l’incontro di Gesù con «un uomo di nome Nicodemo», un capo dei capi dei Giudei, un maestro d’Israele, ma soprattutto un personaggio che vive un po’ dentro ciascuno di noi: un uomo, appunto, con le sue domande sul senso della vita, un cercatore di Dio, un mendicante. 

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