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Le genealogie evangeliche,
in apparenza aride, rivelano una
verità tanto vicina: il Figlio di Dio si è fatto uomo come noi, per noi 

di mons. Silvano Macchi

Con questa serie di articoli, che svolgono un tema comune, Misteri della vita di san Giuseppe, mi propongo di andare alla radice di ogni tradizione, culto, devozione, immagine del santo Patriarca, ossia di approfondire la testimonianza dei vangeli canonici su di lui. Parlo di Misteri e intendo questa parola nel suo significato originale; infatti «mistero» (dal greco mystérion) non significa «ciò che non si capisce», ma piuttosto «ciò che viene rivelato e che non si finisce mai di capire». 

Il primo testo evangelico in cui Giuseppe è nominato è Mt 1, 1-17, ossia la genealogia di Gesù quale vero figlio di Abramo e di Giuseppe. Questo testo è il “terrore” degli ascoltatori (e anche dei commentatori e dei predicatori). Effettivamente è un’impresa affrontare una così lunga serie di nomi inusuali ed ermetici. 

D’altra parte l’evangelista non intende dare un elenco preciso degli antenati di Gesù. Il suo intendimento è teologico, non storicistico. Questo testo di Matteo è chiaramente orientato alla cristologia: offre cioè la “carta d’identità” di Gesù, inserendolo nella discendenza (regale e messianica) di Davide e in quella di Abramo (Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo), come punto di avvio della storia di Israele. Qui per la prima volta ci si imbatte nel nome di Giuseppe: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo».

Siccome la genealogia di Matteo parte da Abramo e discende fino a Gesù, possiamo dire che sotto tale profilo appare come una ripresa del libro della Genesi, dove a più riprese si trovano alcune genealogie: da Adamo fino a Noè, da Noè fino ad Abramo, e finalmente da Abramo fino a Davide. Ora nella genealogia di Matteo ha un rilievo decisivo la genealogia “regale”, da Davide fino a Gesù, figlio di Davide.

Attraverso tre serie di 14 generazioni (il doppio di 7), Matteo sintetizza la preparazione della nascita del Messia, figlio di Maria che a sua volta è sposa di Giuseppe, discendente di Davide. Che il figlio di Maria sia concepito per opera dello Spirito Santo non esclude, anzi richiede che egli abbia anche una genealogia umana. E sarà appunto Giuseppe, non Maria, a dare un nome e un’identità a Gesù, e in tal modo a iscriverlo nella storia umana. 

Gesù è concepito per opera dello Spirito Santo, viene dal cielo, ma deve entrare nella famiglia umana, deve essere accolto nella vita dei figli di Adamo, deve partecipare della loro vicenda talvolta infelice e incerta, e ciò accade soltanto grazie a Giuseppe. 

Questo è il significato del compito a lui assegnato: dare un “nome” al figlio di Maria; in tal modo il bambino viene iscritto nella serie delle generazioni ed è fatto erede delle promesse fatte da Dio ai padri. È una genealogia umana quella che consente di dare un nome, un riconoscimento al Figlio di Dio concepito per opera dello Spirito Santo, e con quel nome dichiarare lo scopo della sua venuta, cioè il compimento delle promesse antiche. Senza entrare negli intricati dettagli del brano, l’intento del Vangelo è quello di inserire Gesù, il Figlio di Dio fatto carne, all’interno di una storia umana; storia di santità e di peccato.

È una storia umana “aperta” all’inizio e alla fine. Essa comincia con Abramo, del quale non si dice di chi è figlio. Si dice infatti: «Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda...» ma Abramo, chi lo generò? Così alla fine non si dice che Giuseppe «generò», ma si conclude dicendo che Gesù è nato da Maria. “In alto” non si sa chi sia il padre che genera Abramo, lo sa solo Dio; “in basso” non si dice se Giuseppe genera qualcuno. 

Secondo la genealogia di Matteo, ciò sta a significare che la storia umana si presenta come un’apertura all’origine e alla fine. Si potrebbe dire che è storia della genesi di un mondo nuovo, di una nuova creazione, all’inizio e alla fine della quale è collocata una persona concreta: Gesù chiamato Cristo, l’atteso di Israele e di tutti i popoli della terra. Non c’è Dio senza un uomo che lo attende e lo riconosce; viceversa non c’è un uomo senza Dio che lo suscita e lo riscatta da una storia confusa e anche scandalosa (non proprio una bella storia!). Siamo dunque in presenza di una concentratissima teologia della storia, il cui senso supremo è generare Gesù Cristo. L’umanità esiste per generare Gesù e di questa umanità, non marginalmente, fa parte Giuseppe. 

Certo con lui si rompe il paradigma delle generazioni. Giuseppe non genera; egli è lo sposo di Maria, ma il Cristo è generato da Dio (e da Maria). Si spiegherà in seguito cosa dovrà fare Giuseppe; per ora egli è colui che non genera.

In tutto questo c’è un significato spirituale da raccogliere. È un invito a ritrovare la memoria dei nostri padri nella fede, la memoria del nostro passato. Oggi questa memoria è molto a rischio: si vive solo del presente; il passato invece sta alle nostre spalle, fino a considerarlo scontato, senza nulla da dire. In realtà nel nostro passato, nelle nostre origini, è iscritta una promessa per la vita, proprio come accade a ogni figlio nei confronti di un padre e di una madre, di un nonno e di una nonna. Ricordare la genealogia della fede è quindi condizione indispensabile per poter confessare la verità del Figlio di Dio e di Maria, e così prendere parte al mistero dell’Incarnazione, che porta a generare Gesù in noi, in me.  

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