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Stimato signor Direttore, 
sono un’iscritta alla Pia Unione di San Giuseppe, leggo con profitto la rivista, cerco di essere fedele alla preghiera quotidiana per i morenti, a volte, recito il sacro Manto in onore di San Giuseppe. Le scrivo per un chiarimento: a volte mi chiedo se le pratiche in onore di san Giuseppe sono una semplice devozione, oppure  la conseguenza di una spiritualità specifica?
Tiziana Vella – Catanzaro
 
Cara e gentile Tiziana,
ringrazio lo Spirito santo che le ha fatto nascere questo interrogativo che mi permette di chiarire gli effetti della spiritualità come pure la pratica delle devozioni. Inoltre il suo scritto mi dà l’occasione di chiarire le motivazioni che fanno fiorire le pratiche devozionali.  
Tutti i paragoni non esauriscono a pieno la realtà, ma ci aiutano almeno a intuire le ragioni di fondo.  Siamo tutti a conoscenza che le piante di rose appartengono alla famiglia delle rosacee, ma ogni pianta di rosa ha una varietà di forma, di petali, di foglie, di profumo e anche il tempo della fioritura, tuttavia sono della medesima famiglia.  Questo vale per la vite, i grappoli d’uva e il vino: diversi colori, diversi sapori, differenti aromi, differenti vitigni, ma unica vite. Così la radice di un’autentica spiritualità da cui nascono molteplici devozioni.   Dobbiamo però fare attenzione: una devozione che non ha sane radici di spiritualità è come un fiore di plastica. Non c’è il respiro di Dio, ma solo la soddisfazione di una sensibilità religiosa che nasce da un sentimento umano senza un innesto nel cuore stesso di Gesù.
La spiritualità è il patrimonio di realtà invisibili che si fa anima di ogni pratica devozionale.  Se una devozione nasce slegata da una ricchezza interiore rimane una devozione sterile, stagionale, mutevole come un’onda, vagante in cerca di una meta perché senza radici. 
 Non c’è dubbio che le pratiche devozionali sono un valore aggiunto al fondamento della nostra fede e una manifestazione concreta della nostra spiritualità coltivata e vissuta sull’esempio di un santo cui va il nostro sguardo di ammirazione e il desiderio di imitazione. La spiritualità di una persona è simile al nostro sistema nervoso che ci permette di camminare con equilibrio nei sentieri della vita. Non dobbiamo confondere la spiritualità come una vaga nebulosa intimistica, ma dovrebbe costituire il fondamento del nostro incontro con Dio, attraverso l’esperienza del santo di cui siamo devoti e che preghiamo con frequenza.
La spiritualità è il DNA della nostra fede. «Cuore, occhi, orecchi, labbra, gusto, olfatto, mani e piedi sono pervasi da una luce e da una forza trascendente che trasfigura l’essere e l’agire». Non siamo distanti da quello che dice san Paolo nella lettera ai cristiani di Roma, quando scrive di offrire «i nostri corpi come sacrifico vivente, santo e gradito a Dio: è questo il nostro culto spirituale».
Questo culto spirituale per noi, iscritti alla Pia Unione, ha le caratteristiche che hanno animato la fede di san Giuseppe. Egli non è un personaggio da comparsa sulla scena della redenzione, ma un autentico credente che si è fidato di Dio, ha dato fiducia alla sua fidanzata, Maria, accettando un misterioso disegno che per il bene dell’umanità rovesciava i suoi progetti umani. Con la nascita di Gesù, per anni, con dedizione responsabile e ammirevole, Giuseppe ha accettato di stare a fianco di Gesù quale ombra del Padre.  Il nostro Santo protettore ha insegnato alla natura umana del figlio di Dio a vivere su questa terra. Egli è stato “l’ombra” fedele del Padre, svolgendo un compito pedagogico assai delicato. Ha svolto con responsabilità il ruolo di capo famiglia; ha educato alla preghiera, all’incontro con la storia che Dio nel corso dei secoli aveva scritto con il popolo prediletto. Ha insegnato a Gesù il compito di guadagnarsi la vita con il lavoro.
La meditazione sulle qualità umane e spirituali della vita di Giuseppe costituisce il fondamento delle nostra spiritualità, disegnando lo stile del nostro cammino alla ricerca del volto di Dio sui passi di Gesù.
 
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