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di Graziella Fons

Non si muore perché si è persa la memoria, ma si muore quando ci si sente soli, orfani di affetti, privi di amicizie, senza uno scopo per vivere

Oggi, in tanti, in troppi settori della vita pubblica, stiamo navigando a vista: la scuola, la disoccupazione, i giovani e, non ultimo, gli anziani. A loro si pensa giocando tutto sulla piattaforma delle pensioni, sul numero sempre più crescente delle persone anziane e la ripercussione sul piano finanziario per le spese sanitarie, ma non ci si preoccupa che per le persone attempate c’è un vertiginoso abbassamento della qualità della  vita.
Non è sufficiente dare anni alla vita, prolungando così la vecchiaia, ma è urgente preoccuparsi di dare vita agli anni.

Non si muore perché si è persa la memoria o per una distorsione ad una caviglia, ma si muore quando ci si sente soli, orfani di affetti, privi di amicizie, senza uno scopo per vivere.
Se dobbiamo gioire e ringraziare il buon Dio per il fenomeno dell’invecchiamento, che è una delle grandi conquiste della storia umana, non possiamo lasciare afflosciare la voglia di vivere, non riuscendo a capire come possiamo impegnare gli anni della vita anziana.
In un documento delle Nazioni Unite si legge che, a livello mondiale, in mezzo secolo la vita è aumentata di oltre 20 anni. «Se l’aspettativa di vita dalla nascita nel 1950 era di anni 46,4, nel periodo 2005-2010 l’aspettativa di vita dalla nascita è di anni 67,2. Nel 2050 si prevede un successivo aumento arrivando a un'attesa di vita di anni 75,4 per ambo i sessi».
In Italia una persona su 5 ha più di 65 anni; una su 10 ne ha più di 75. Le donne rappresentano quasi il 54% della fascia di età tra i 65 e i 75 anni e quasi il 63% degli ultrasettantacinquenni.
La vecchiaia è un dono, ma anche una sfida del nostro tempo; rispetto a questa realtà i cristiani devono cogliere una risorsa.
La Sacra Scrittura non ci fornisce molte indicazioni sul come vivere la vecchiaia, ma ci dice che la persona anziana «è il simbolo della sazietà della vita. è il segno della pienezza della conoscenza di Dio, è una domanda alla nostra anima. Il compito dell’anziano è di mantenere viva la memoria alle nuove generazioni», senza presunzione aiutare i giovani a non lasciarsi smarrire nella giungla della menzogna, alimentare nelle giovani generazioni il patrimonio della tradizione. Il rispetto nei confronti della persona anziana ricolma da sempre il futuro di speranza.
In un recente convegno su questa nuova e rinnovata alleanza della comunità cristiana con gli anziani, il vescovo Vincenzo
Paglia ha denunciato la disattenzione della Chiesa che dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II ha fissato la sua attenzione e sollecitudine alla «questione giovanile», ritagliando per essa uno spazio privilegiato dell’azione pastorale della comunità e «non ci si è interrogati cosa poteva significare un’azione pastorale per aiutare gli anziani a vivere la loro fede anche negli ultimi anni della vita». In quella circostanza mons. Paglia proponeva alla comunità cristiana di pensare a un concetto d’invecchiamento attivo che consiste nel saper convivere con il peso degli anni senza lasciarci schiacciare, offrire alle nuove generazioni la propria esperienza come viatico di accompagnamento e vivere l’esperienza d’intercessori, ponti di collegamento tra i problemi del vivere quotidiano e la luce della grazia che illumina anche gli angoli crepuscolari della vita umana.  n

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