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Nei primi secoli del cristianesimo si moltiplicano le raffigurazioni del buon Pastore. Collegate con il Battesimo, adornano le sepolture e gli oggetti
di uso comune. Unico è il messaggio: l’amore di Cristo per i suoi discepoli.

di Talia Casu

Nell’arte cristiana la figura del pastore, insieme con la figura dell’orante, simbolo della salvezza, è tra le prime rappresentazioni di Cristo diffuse al principio del III secolo. È quella che si ritrova più frequentemente nell’arte cristiana antica, tanto che si è arrivati a contare novecento rappresentazioni nelle quali Cristo compare come un uomo barbato o un giovane imberbe; è rivestito della tunica corta da lavoro cinta ai fianchi, una mantella corta con cappuccio e calzari ai piedi, come nella foto qui riprodotta. 

Da Tertulliano abbiamo notizia dell’uso di rappresentare il buon Pastore sul fondo dei vasi liturgici in riferimento alla parabola della pecorella smarrita. I resti di una nave naufragata a largo di Cesarea Marittima (Israele), di età romana (metà III sec. d.C.), hanno offerto l’occasione di una scoperta unica: sul relitto è stato rinvenuto un anello d’oro con una pietra sulla quale è inciso un pastore crioforo (che porta un capretto). Interpretato dagli studiosi israeliani come rappresentazione del “buon Pastore”, ha portato ad attribuire l’oggetto a un cristiano e molto probabilmente a una donna, considerate le sue piccole dimensioni.

Sui coperchi dei sarcofagi è a volte raffigurato vestito con gli abiti del filosofo, seduto al centro della scena, con alla destra un gruppo di pecore e alla sinistra di capri: «E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra» (cfr. Mt 25, 31-46). 

Nella domus ecclesiae (datata al 256) dell’antica città di Dura Europos ritroviamo l’immagine del pastore che reca la pecora sulle spalle e conduce il gregge, inserita nella decorazione della lunetta che sovrasta la vasca battesimale. Al di sotto è rappresentata la caduta dei progenitori, Adamo ed Eva: un accostamento nel quale si è visto il tema di Cristo che offre la sua vita per le pecore (Gv 10).

Ma è certamente il salmo 22, tanto caro al culto cristiano primitivo, ad aver influenzato, oltre ai testi liturgici, anche l’iconografia. Dalle catechesi ai neofiti che si tenevano nella settimana di Pasqua, apprendiamo che il salmo veniva imparato a memoria durante il tempo di catecumenato e cantato nella notte della grande Veglia durante la processione che, al termine dei riti battesimali, si muoveva dal battistero verso la chiesa, dove i battezzati avrebbero partecipato per la prima volta al banchetto eucaristico. Sia nelle catechesi mistagogiche, sia in altri commenti, questo salmo trova una interpretazione sacramentale: i primi versetti sono letti in riferimento al Battesimo e alla Cresima, mentre gli ultimi in riferimento all’Eucaristia: i «pascoli erbosi» sono la Sacra Scrittura, «che nutre i cuori credenti, donando loro la forza spirituale» (Cirillo di Alessandria). Il versetto «Ad acque tranquille mi conduce, mi rinfranca, per amore del suo nome», è riferito alle acque battesimali; «Cospargi di olio il mio capo», richiama l’unzione crismale ricevuta dopo il battesimo; il calice traboccante è raffigurazione dell’Eucaristia.

In alcuni battisteri troviamo il Pastore in un contesto paradisiaco: prati verdi, piante, fiori, pecore e fonti rendono con maggiore evidenza il riferimento al salmo 22. Nel battistero Neoniano a Ravenna una iscrizione che riporta i primi due versetti del salmo accompagna la decorazione pastorale: «Il Signore mi ha condotto in un luogo di pascolo: mi ha portato ad acque di refrigerio».

Ma è soprattutto in ambito funerario che si registra una maggiore presenza del buon Pastore. Abbiamo già accennato come la riflessione patristica sull’immagine del pastore divenga sempre più profonda: il buon Pastore combatte e trionfa sulle potenze del male e introduce le pecore nei pascoli erbosi paradisiaci, e questo è ancor più vero nel martirio e nella morte. L’immagine è ben presente nella liturgia e nelle preghiere per i defunti. Nella Passio di Perpetua e Felicita è descritta la prima visione della martire Perpetua: «Vidi un immenso giardino con in mezzo un uomo imponente, seduto, con i capelli bianchi, vestito da pastore, che munge le pecore, circondato da altri uomini biancovestiti. Egli mi chiamò e mi diede un pezzo di formaggio, fatto con le sue mani. Io lo ricevetti a mani giunte e lo mangiai». Gli «uomini biancovestiti» ci ricordano le parole dell’Apocalisse: «Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello» (cfr. Ap 7, 9-17). 

A Ravenna, nel mausoleo di Galla Placidia (V sec.) tutto questo è rappresentato negli splendidi mosaici che decorano l’interno dell’edificio, dove è possibile ammirare il Cristo Pastore rivestito di una tunica dorata, il manto color porpora, seduto in mezzo al gregge che guarda verso il divin Pastore; con la sinistra tiene la Croce vittoriosa e con la destra accarezza una pecora.

La contemplazione della salvezza, accolta per mezzo del Battesimo e dell’Eucaristia, ci appare descritta con una calligrafia forse difficile da trascrivere, ma di questa possiamo trovare un frammento in quel grande patrimonio di immagini che sono la soglia da cui passiamo a “intravedere il Paradiso”.   

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