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di Corrado Vari

Il monastero delle Clarisse ad Anagni unisce santa Chiara a san Giuseppe.
La loro protezione si manifesta nella vitalità vocazionale e nella fedeltà
al carisma francescano.

«Chiara, luminosa per chiari meriti, risplende in cielo per chiarità di gloria e in terra rifulge dello splendore di miracoli sublimi. […] Non poteva avvenire che una lampada tanto vivida, tanto splendente rimanesse occulta senza diffondere luce ed emanare chiaro lume nella casa del Signore». È un passo della bolla con cui il papa Alessandro IV elevava alla gloria degli altari Chiara di Assisi nella cattedrale di Anagni nel settembre 1255, a soli due anni dalla morte.

La data di fondazione del monastero non è nota, ma non si può escludere che all’epoca della canonizzazione di Chiara le sue seguaci fossero già presenti nella città laziale: solo pochi mesi dopo l’evento, infatti, lo stesso Alessandro IV donò loro la chiesa di san Pietro in vineis, costruita nel XII secolo sopra un colle fuori delle mura della città e oggi di fatto nel centro urbano, mentre in epoca medievale era appunto in vineis, cioè in mezzo ai vigneti.

Nella seconda metà del Cinquecento le religiose si trasferirono all’interno delle mura cittadine, presso la chiesa di san Pancrazio. Una nuova elegante chiesa barocca, dedicata proprio a santa Chiara, fu costruita nel XVIII secolo, insieme ad altre strutture, e consacrata nel giugno del 1754.

Brilla nella storia del monastero, in quel medesimo secolo XVIII, la figura di madre Serafica Colacicchi, la cui vita fu accompagnata da esperienze mistiche, tra cui la visione del Sacro Cuore di Gesù, come pure di santa Chiara che nel 1797 le assicurò la propria protezione sul monastero anagnino. Era proprio madre Colacicchi la badessa della comunità all’inizio dell’Ottocento, quando i soldati di Napoleone saccheggiarono il monastero: fu l’inizio di un periodo di declino e di impoverimento che durò fino alla fine del secolo, effetto anche degli sconvolgimenti politici che segnarono l’Italia e l’Europa.

Tra alterne vicende, la comunità giunse fino al secolo successivo. Durante le due Guerre mondiali, essa fu presidio di preghiera e carità per la popolazione locale e non solo: diversi ebrei e perseguitati, e lo stesso eroico vescovo di Anagni Attilio Adinolfi, trovarono rifugio tra le mura del monastero nel periodo dell’occupazione tedesca nel secondo conflitto mondiale. 

Le Clarisse anagnine proseguirono il loro cammino in mezzo ai grandi cambiamenti economici, sociali e culturali della seconda metà del Novecento, ma le vocazioni diminuirono fino a inaridirsi del tutto per circa trent’anni. Soltanto nel 1993, una comunità invecchiata e ridotta di numero accolse, con il nome di suor Cristiana, Mirella Graziani, infermiera trentottenne della vicina Alatri che nel 2001 sarebbe poi diventata la nuova madre badessa. Fu anche attraverso la sua guida che santa Chiara mantenne l’antica promessa di proteggere e conservare il monastero anagnino. Con impegno, fedeltà al carisma dell’Ordine e fiducia nella divina Provvidenza, madre Cristiana lavorò non solo per ridare vita al grande complesso, ristrutturandone e valorizzandone diversi ambienti, ma anche per porre le basi del suo futuro: moltiplicò infatti le iniziative vocazionali e i contatti in Italia e all’estero, che furono le basi per una comunità oggi composta da 19 sorelle di varie nazionalità, da diverse parti d’Italia e da alcuni paesi dell’America latina. Dall’Honduras proviene l’attuale madre Maria Chiara Fedele Subillaga, succeduta a madre Cristiana, tornata al Padre nel giugno 2020 e la cui memoria continua ad accompagnare la vita delle sorelle.

Fu proprio madre Cristiana a ravvivare la devozione a san Giuseppe, quale speciale protettore della comunità accanto a Chiara e Francesco. Insieme all’immagine dei santi fondatori, quella di san Giuseppe con il Bambino in braccio è presente in tanti punti del monastero: nella chiesa, dove ogni settimana una signora che vive nelle vicinanze procura fiori freschi per la statua del santo; al centro del chiostro, in cui un’altra grande statua - collocata a cielo aperto - sembra significare l’unione tra la terra e il cielo attraverso l’intercessione del santo. È proprio qui che durante la bella stagione le sorelle usano radunarsi per pranzare all’aperto e ringraziare la Provvidenza divina, perché con l’aiuto di san Giuseppe concede sempre il necessario. Egli è rappresentato anche sulle pareti della cappella interna, realizzata di recente in memoria di madre Cristiana nel luogo della sua morte, e in diversi altri luoghi del grande monastero, quasi ad indicare il suo sguardo presente nella vita delle contemplative.

L’invocazione a san Giuseppe segna i momenti di preghiera che scandiscono la vita delle sorelle nell’arco della giornata e dell’anno: in particolare, la notissima preghiera di Leone XIII A te, o beato Giuseppe… accompagna ogni giorno le lodi mattutine, mente la richiesta della sua intercessione conclude l’adorazione eucaristica. Infine una novena a san Giuseppe precede la grande festa del 19 marzo.

Il santo è anche presente nella devozione personale delle sorelle: ciascuna lo invoca con la propria storia e sensibilità, secondo particolari intenzioni legate ai diversi titoli con cui è venerato; secondo le grandi “responsabilità” che tali titoli comportano per lui, protettore della santa Chiesa, di varie categorie di fedeli e anche di questa comunità religiosa, la quale da quasi ottocento anni offre la sua testimonianza di fede e di carità e sostiene la speranza del popolo cristiano con la propria incessante preghiera.    

 

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