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Semplice e straordinaria la vita del Cottolengo.
La sua Piccola Casa della divina Provvidenza
è affidata totalmente al Padre celeste.
Ma anche al patriarca san Giuseppe

di Corrado Vari

Fondatore di opere per malati e bisognosi di cui nessun altro si curava, ma anche di famiglie religiose e monasteri “contemplativi”, al servizio materiale e spirituale di quelle stesse opere. Una realtà articolata e imponente, che già alla sua morte assisteva oltre 1300 persone.

Costruita senza pianificare nulla, ma cercando negli avvenimenti e negli incontri di ogni giorno i segni di quello che bisognava fare; senza redigere bilanci, ma spendendo fino all’ultimo centesimo quanto arrivava da benefattori di ogni genere, a volte misteriosi come angeli inviati a sostenere il lavoro di un uomo che diceva di sé: «Io sono un buono a nulla e non so neppure cosa mi faccio. La divina Provvidenza però sa certamente ciò che vuole. A me tocca solo assecondarla». Questo fu Giuseppe Benedetto Cottolengo, la cui festa ricorre il 30 aprile.

Nato a Bra, nel Cuneese, il 3 maggio 1786, era il primo di dodici figli, altri due dei quali saranno pure sacerdoti. Fin da bambino manifestò i segni di quella che sarebbe stata la sua vocazione, che si realizzò nei difficili anni del periodo napoleonico: fu infatti ordinato sacerdote nel 1811 e nel 1818 divenne canonico della chiesa del Corpus Domini a Torino.

Tuttavia, la chiamata definitiva il Cottolengo l’avrebbe scoperta solo in età matura, a 41 anni, grazie a un episodio che fu la risposta a un’inquietudine che aveva nel cuore, pur essendo stato sempre un buon sacerdote, prima in provincia poi a Torino (dove lo chiamavano «il canonico buono»), attento ai poveri e affascinato dalla figura di san Vincenzo de’ Paoli.

Questo il fatto: il 2 settembre 1827 fu chiamato ad assistere in punto di morte una giovane donna madre di tre figli, rifiutata da tutti gli ospedali in quanto malata di tubercolosi e incinta. Diede alla luce una bimba, che visse purtroppo solo poche ore, poi spirò anche lei davanti al sacerdote e allo sconsolato marito. Sconvolto dalla tragedia, dopo una notte di intensa preghiera, Giuseppe ebbe chiara la sua strada: dedicarsi agli ultimi facendosi umile strumento della Provvidenza e riponendo solo in questa la sua fiducia, poiché Dio «a chi straordinariamente confida, straordinariamente provvede» (G. B. Cottolengo, Detti e pensieri, 44).

Poco tempo dopo iniziò ad accogliere i primi “scarti di umanità” in alcune stanze prese in affitto, coinvolgendo i primi di una lunga schiera di collaboratori di ogni provenienza e ceto sociale, attratti dall’energia, dall’iniziativa, ma soprattutto dall’incrollabile fede di un uomo che non si fermò più un solo momento. Il frutto fu un’opera che ancora oggi, in Italia e in altri paesi, incarna la frase di san Paolo Caritas Christi urget nos («La carità di Cristo ci spinge», 2 Cor 5, 14), diventata il motto dei cottolenghini posto all’ingresso di quella che sarebbe diventata la Piccola Casa della Divina Provvidenza, vera e propria “cittadella della carità”.

Unico suo programma: seguire e servire l’iniziativa della Provvidenza senza preoccuparsi delle non poche difficoltà e fatiche, nella certezza che «mancheranno le famiglie, mancheranno gli uomini, ma la divina Provvidenza non mancherà mai» (Detti e pensieri, 135). Diceva ancora: «Vi ho già detto tante volte che andiamo avanti a forza di miracoli; qua dentro ne vediamo ogni giorno, anzi, potremmo dire, siamo un miracolo continuo: or bene, perché diffidare di Dio? Perché non abbandonarci intieramente a lui?» (Detti e pensieri, 204).

Sono tanti gli episodi prodigiosi ricordati da chi fu al suo fianco e da chi ne ha narrato la vita. Tra gli intercessori che ottennero interventi straordinari della Provvidenza non poteva mancare san Giuseppe, il suo santo patrono cui spesso si rivolgeva. Come quella volta in cui gli chiese aiuto, non sapendo come fare per saldare un consistente debito con un fornaio. Per rispettarne la scadenza, si era fatto prestare la somma da un ricco commerciante, promettendo di restituirla dopo pochi giorni. «Sia benedetto san Giuseppe!», esclamò il Cottolengo ricevendola. Poco dopo, recatosi dal fornaio per consegnarla, si sentì rispondere che era da poco passato un uomo che a nome del canonico Cottolengo aveva pagato tutto. «Ma io non ho mandato nessuno – disse al fornaio – di certo l’avrà inviato san Giuseppe». E non era ancora finita: andato dal commerciante per restituirgli il denaro, questi lo rifiutò e disse che intendeva donarlo alla Piccola Casa. La preghiera a san Giuseppe era stata esaudita al di là di ogni attesa, straordinariamente.

A quattordici anni dall’inizio della sua avventura di carità, ammalatosi di tifo, sentì che il Signore stava per chiamarlo a sé e si ritirò a Chieri presso il fratello sacerdote don Luigi, per trascorrervi gli ultimi giorni di vita e vi morì il 30 aprile 1842. Pochi mesi dopo, il 19 dicembre, sarebbe nato san Luigi Guanella, che trovò il suo modello proprio nel Cottolengo, oltre che in san Giovanni Bosco, che aveva realizzato il suo oratorio a breve distanza dalla Piccola Casa di Torino.

Beatificato da Benedetto XV il 29 aprile 1917, fu proclamato santo il 19 marzo 1934. Nell’omelia della canonizzazione papa Pio XI lo definì «genio del bene». Altri lo hanno chiamato «eroe della carità», «uomo prodigioso», ma lui si definiva soltanto un «manovale della Provvidenza» (Detti e pensieri, 84), ricordando a tutti – di fronte a un complesso di opere e istituzioni in cui si svolgeva e tuttora si svolge un immenso e prezioso lavoro – che «la preghiera è il primo e più importante lavoro della Piccola Casa» (Detti e pensieri, 24), perché ogni bene viene solo dal Signore, cui non bisogna mai smettere di affidarsi e di domandare tutto.  

N.B. Ne La Santa Crociata, 3 (marzo) 2024 è stato attribuito erroneamente il nome "Riccardo" a Corrado Vari. Ce ne scusiamo.

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