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San Leonardo Murialdo con i suoi
Giuseppini da centocinquant’anni
educa generazioni di giovani operai.
Al santo Patriarca affidò la sua vita e la
sua opera, presente ora in sedici nazioni.

di don Gabriele Cantaluppi

Quando Giosuè Carducci parlava della «regal Torino incoronata di vittorie» non pensava certamente a quelle dei grandi santi sociali del suo secolo, che nella capitale sabauda riportavano successi quotidiani, a prezzo di grandi sacrifici, nel campo dell’educazione e dell’assistenza ai più deboli della popolazione, numerosissimi in una città in crescita esplosiva. I nomi di questi santi sono conosciuti, anche se l’esponente più noto è san Giovanni Bosco. 

Fra di essi vi è anche san Leonardo Murialdo, torinese doc, legatissimo alla sua città, tanto da scrivere: «Quanto sono riconoscente a Dio di avermi fatto nascere in Italia, a Torino, nella città del Santo Sacramento, della Consolata, nella città di tante opere benefiche». Vi era nato il 26  ottobre 1828 e vi morì il 30 marzo 1900. Dei suoi settantuno anni di vita, ne spese la metà nella direzione del Collegio Artigianelli, fondato da don Giovanni Cocchi, dove i giovani venivano istruiti e preparati a un mestiere. Il collegio  versava in penose condizioni e toccò a lui risollevarne le sorti a prezzo di grandi sacrifici.

Il mondo operaio costituiva in quel secolo diciannovesimo una grande emergenza sociale. San Leonardo rispose in modo lungimirante, puntando a formare tra gli operai un senso di mutua solidarietà che li rendesse coscienti dei propri diritti. Viaggiò spesso nel Sud d’Italia per conoscere le realtà assistenziali delle altre città, lui che nel 1865 si era recato anche a Parigi e aveva avuto contatti con le realtà educative e sociali della capitale francese, tra cui le Conferenze di san Vincenzo de’ Paoli, e aveva pure soggiornato brevemente a Londra. In un discorso tenuto nel 1865 a una Conferenza di san Vincenzo disse: «Il laico, di qualsiasi ceto sociale, può essere oggi un apostolo non meno del prete e, per alcuni ambienti, più del prete».

Il 19 marzo 1873, centocinquant’anni fa, festa di san Giuseppe, fondò la Pia Società Torinese, intitolandola al santo Patriarca. Ancora oggi la sua congregazione religiosa opera in scuole, oratori, parrocchie, missioni, rivolgendosi in particolare ai giovani e alla loro educazione. Ma fin dagli inizi un'attenzione specifica fu rivolta al mondo del lavoro, alla formazione professionale e ai giovani lavoratori.

Avendo avuto origine in un collegio dedito all’educazione e con una speciale attenzione ai giovani operai, fu del tutto ovvio il riferimento a san Giuseppe, educatore di Gesù e umile operaio nella bottega di Nazaret, che insegnò il lavoro a Gesù per circa trent’ anni della sua vita. Proprio
l’8 dicembre 1870, circa tre anni prima che il Murialdo fondasse la congregazione, il papa Pio IX, con il decreto Quemadmodum Deus aveva proclamato san Giuseppe patrono della Chiesa universale.

Nel collegio Artigianelli san Leonardo Murialdo incominciò a diffondere la devozione a san Giuseppe. Al «Santo Artigiano di Nazaret» ricorreva spesso ed invitava altri a farlo con ripetute novene. Ebbe in lui una fiducia semplice e filiale; sulla cassaforte del collegio, sempre vuota e quindi aperta, aveva posto una statuetta di san Giuseppe, «perché – diceva – veda che non c'è niente e quindi provveda». Assicurava di non aver mai fatto una novena senza aver ottenuto prove tangibili del suo aiuto, perché «su questa terra è stato lui la Provvidenza di Gesù e di Maria e lo è tuttora di tutti i poveri».

Però san Giuseppe è non solo custode, ma anche modello ed esempio di chi vuole amare veramente Gesù perché, dopo Maria, è stato lui il più amante e il più amato dal Cuore di Gesù. Con una bella immagine, san Leonardo presenta nella casa di Nazaret le braccia di san Giuseppe che accoglievano Gesù mentre dormiva. 

Di sé stesso asseriva: «Agli occhi di Dio io tengo l’ufficio di san Giuseppe in rapporto ai ragazzi, che sono altrettanti piccoli Gesù». Invitava i lavoratori a santificare la fatica, indirizzandola continuamente a Dio e compiendo il suo volere. Scriveva: «Educare è opera fra le tutte la più divina. Il fanciullo è quanto di più prezioso vi sia nella società. Il cuore è quanto di più prezioso vi sia nel fanciullo. L’educazione del cuore è quella a cui da noi si mira».

Diventato sacerdote nel 1851, scelse subito di impegnarsi nei primi oratori torinesi, tra i ragazzi poveri e sbandati della periferia: nell’oratorio dell’Angelo Custode e, su incarico di don Bosco, in quello di San Luigi, come direttore. Per questo, come sottolineerà Benedetto XVI in nell’udienza generale del 28 aprile 2010, «catechesi, scuola, attività ricreative furono i fondamenti del suo metodo educativo in Oratorio».

La sua opera educativa venne in aiuto anche a quanti erano portati alle attività del settore primario con la fondazione delle colonie agricole, cominciando dalla prima a Rivoli, dove i ragazzi potevano godere di  una vera e propria scuola teorico-pratica di agricoltura con corsi di botanica, fisica, disegno, orticoltura, chimica, agronomia.

Vale anche per noi oggi l’esortazione, scritta nella sua giovinezza: «Prendi lezioni dal passato ma vivi nel tuo tempo, ascolta e comprendi le voci dell’universo, della tua terra, della tua gente della tua città, della tua patria, le voci dei sofferenti, dei poveri e degli oppressi. Compènetrati di tutto ciò che è bello buono, vero e santo. Non si perde nulla a vivere generosamente, nobilmente, amabilmente, nutrendo nell’animo la sincerità, la giustizia, il buon senso, la bontà. Solo così imparerai a leggere i segni dei tempi e di Dio, e a sentire i richiami delle anime».  

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