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La Chiesa è chiamata a essere fiaccola per accompagnare i processi culturali e sociali che riguardano la famiglia. La Gaudium et Spes presenta una Chiesa capace di ridare cittadinanza a tanti suoi figli che camminano come in un «esodo». 

di M. Anna Maria Cánopi

 
Ricorrendo quest’anno – l’8 dicembre – il 50º della chiusura del Concilio Vaticano II, mi è stato giustamente suggerito di prendere come tema del mio ormai consueto contributo a questa rivista, la Costituzione conciliare sul mondo contemporaneo, vale a dire la Gaudium et Spes. Non presumo di poter offrire un approfondimento teologico-pastorale – per il quale certo mi sento inadeguata – ma, quale testimone di questi cinquant’anni di storia della Chiesa, posso umilmente fare una rilettura personale, quindi “monastica”, di questo stupendo documento, cercando di esprimere almeno in parte ciò che esso suscita nel mio cuore, soprattutto in riferimento al servizio di guida spirituale che ormai da molto tempo mi trovo a svolgere. Proprio questo servizio mi mette a contatto diretto con l’uomo contemporaneo nella sua realtà esistenziale fatta di gioie e speranze, tristezze e angosce. 

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Nessuna creatura può essere considerata “scarto” o “peso insopportabile

di Madre Anna Maria Cánopi

 
Andare incontro all’ignoto, senza sapere come affrontarlo, carico di aspettative, carico di domande. 
Entrando nel vivo della Costituzione Gaudium et Spes, ci si trova subito davanti ad una tematica che interpella tutti molto direttamente. Il primo capitolo è, infatti, dedicato alla dignità della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio, dotata di intelligenza, volontà e libertà, assetata di verità e di amore, ma anche ferita dal peccato e soggetta alla morte. Essa è portatrice di un mistero, è fatta per l’infinito, eppure si trova dolorosamente segnata dalla propria finitezza e perciò sempre alla ricerca di altro. In realtà è, più o meno consapevolmente, alla ricerca di Dio, ma anche sempre tentata di rivendicare la propria autonomia, quindi di usurpare il posto di Dio.

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Solo profonda spiritualità riesce a far scaturire risorse insospettate per realizzare i propri desideri

di Giovanni Cucci

 
Il Signore stesso sembra farsi conoscere attraverso i desideri. Scrive a questo proposito S. Agostino: «Il tuo desiderio è la tua preghiera; se continuo è il tuo desiderio, continua è la tua preghiera […]. Il desiderio è la preghiera interiore che non conosce interruzione». Lo stesso vangelo può essere presentato come una grande educazione ai desideri; si pensi ad es. alla domanda iniziale di Gesù nel vangelo di Giovanni: «Che cercate?» (Gv 1,38), una domanda che invita a fare chiarezza nel cuore prima di iniziare la sequela. Anche prima di un miracolo, Gesù rimanda al desiderio, come quando si trova di fronte al paralitico della piscina di Betzatà, gli chiede anzitutto: «Vuoi guarire?» (Gv 5,6). Ponendo queste domande, Gesù invita a riconoscere che cosa è importante desiderare nella vita come guida per ogni passo ulteriore, anche di guarigione.

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La Pentecoste: terzo mistero glorioso

di Ottavio De Bertolis

 
La discesa dello Spirito Santo produce nel Corpo mistico di Cristo, cioè nella Chiesa, gli stessi effetti, per dire così, che ha prodotto sul corpo fisico, di carne, di Gesù. Gesù è risorto per la potenza dello Spirito Santo: il corpo fisico di Gesù è stato assorbito, per così dire, dalla vita divina, inesauribile ed eterna, che è lo Spirito del Padre, che viene riversato in pienezza su di Lui, il capo del suo Corpo mistico. Quella di Gesù, infatti, non è una “semplice” rianimazione, come quella di Lazzaro, ma è l’ingresso di Gesù, del Cristo segnato dalle ferite e dalla morte, nella gloria del Padre, nel Suo mondo, nella Sua vita. E così lo Spirito vivificante, che il Padre ha riversato su di Lui, scende dal capo a tutte le sue membra, a tutto il Corpo di quel Capo, cioè alla Chiesa.

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