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50° di ordinazione sacerdotale di alcuni guanelliani

di Mario Carrera

Il 14 maggio di quest’anno, accanto alla freschezza infantile dei bambini che per la prima volta ricevevano il Corpo e il Sangue di Gesù, la basilica San Giuseppe ha ospitato un bel gruppo di sacerdoti guanelliani per celebrare il 50° anniversario della loro ordinazione sacerdotale. 

Un robusto grappolo di “adolescenti del cielo” che da cinquant’anni lavorano nella vigna del Signore per offrire il vino della gioia a tante persone. Ogni volto una storia, avventure apostoliche vissute, ancora pulsanti di linfa vitale, nei vari continenti, con compiti variegati alla periferia del mondo come al vertice della Congregazione dei Servi della Carità di don Guanella. Ognuno dei dieci sacerdoti in questa circostanza ha portato all’altare il diario della propria vita per ringraziare Dio del dono della vocazione, ma anche per il bene seminato, le lacrime asciugate, i piedi “lavati” ai poveri per ridare dignità alla vita. 

«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» – ha detto Gesù –, per mandarvi sulle vie del mondo ad annunciare che in cielo c’è un Padre che tutti ama e, per non perdere nessuno dei suoi figli, ha mandato suo Figlio. 

Con animo grato sia i parrocchiani, i confratelli guanelliani, le suore guanelliane rappresentate dalla Madre generale suor Serena Ciserani, i cooperatori e le cooperatrici, come gli amici della famiglia guanelliana hanno ammirato quell’offerta di gratitudine depositata sull’altare del sacrificio eucaristico; un dono assimilabile a “un’epoca storica”, 500 anni “a pezzetti”, santificati con il lievito evangelico della dedizione. Davvero, immaginare il lavoro apostolico di questi dieci sacerdoti è fonte di gioia; è una scia luminosa in compagnia dei poveri. Pur sotto cieli diversi, la loro azione pastorale accanto ai poveri nel buio della desolazione  è paragonabile alla Via Lattea o alla biblica nuvola di fuoco che ha accompagnato il popolo d’Israele verso la Terra promessa. Singolarmente: don Antonio, don Giovanni, don Remigio, don Antonino, don Cesare, don Tonino, don Battista, don Piero, don Giuseppe hanno illuminato i sentieri  delle persone alla ricerca del volto di Dio. 

Il Superiore generale, don Alfonso Crippa, ha presieduto la concelebrazione eucaristica e nell’omelia ha accarezzato una sventagliata di ricordi e rivolgendosi ai festeggiati ha detto: «Certamente ognuno di voi oggi ricorda volentieri e con grande gratitudine quel giorno in cui eravate circondati da tante persone che forse adesso non ci sono più: i vostri famigliari che non solo vi hanno condotti con gioia all’altare, ma anche in seguito vi hanno accompagnato e tante altre persone che esplicitamente ma anche nascostamente vi hanno accompagnato in questi tanti anni del vostro ministero sacerdotale». Don Crippa ha espresso anche la gratitudine per il sentimento di gioia di «appartenere alla nostra congregazione alla quale avete donato tutte le vostre energie e per la quale siete ancora tanto preziosi; ognuno con una missione singolare ma tutti realizzando come un unico dono al Signore e ai nostri poveri».

Il Superiore ha sottolineato come il momento della celebrazione cinquantennale fosse stato preparato con il costante desiderio di essere generosi discepoli del carisma di don Guanella. Infatti i festeggiati hanno voluto iniziare questo pellegrinaggio di ringraziamento partendo dal paese natale di don Guanella, Fraciscio: «Proprio per esprimere il vostro grazie al nostro santo Fondatore che è stato e vuol essere sempre il vostro modello di vita per continuare a donare al Signore e ai poveri la vostra vita, ma certamente anche per ricordare tante esperienze vissute negli anni della formazione». Il Superiore ha concluso la sua omelia con questa parole: «Certamente voi oggi riconoscete di aver ricevuto molto e per questo il vostro grazie al Signore diventa anche impegno a donare e a donarvi. Il mio e nostro augurio è appunto quello di continuare a vivere la vostra Eucaristia quotidiana con la santità della vostra vita e con l’impegno a santificare le persone che il Signore vi affida».

In questa solenne celebrazione abbiamo pregato perché nel mondo ci siano uomini e donne capaci di governare vivendo questo ruolo non come esercizio di potere che schiaccia, ma come servizio che fa crescere, perché nelle comunità cristiane ci siano pastori capaci di manifestare a tutti la tenerezza e la misericordia del Padre; perché non venga meno la testimonianza di un amore totalmente gratuito che va oltre i limiti della stessa famiglia naturale, come quello di Gesù, attraverso le diverse forme di vita consacrata... e pregare anche perché ogni cristiano riscopra il senso della propria vita come vocazione, chiamato ad essere dovunque testimone del Vangelo, come sale e lievito che trasforma dal di dentro le diverse realtà in cui vive.

Ma che senso ha il pregare per tutto questo? Innanzitutto quello di metterci nella giusta posizione davanti a Dio, consapevoli dell’identità di creature, di figli suoi, riconoscendo che il primato è suo, che è lui il “padrone della messe”, colui che chiama e che invia, che fa sbocciare nei cuori il germe della vocazione. Noi siamo suoi collabo­ratori. Può essere che, di fronte alle carestie del nostro tempo, abbiamo abbassato lo sguardo rassegnati, lasciando che si spegnesse in noi l’invocazione: «Manda operai nella tua messe!».

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