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Il venerabile Aurelio Bacciarini un discepolo di don Guanella ed educatore di virtù

di Francesca Consolini

La Chiesa pellegrina nel Canton Ticino e la congregazione di don Guanella il 21 gennaio 2017 celebrano il centesimo Anniversario della consacrazione episcopale del venerabile Aurelio Bacciarini, un fiore di virtù nato nel Cantone svizzero di lingua italiana e coltivato al servizio dei poveri nella nascente congregazione dei Servi della Carità. Dopo l’esperienza feconda di parroco ad Arzo, nel Mendrisiotto, lo Spirito gli ha suggerito una strada della santità più aperta al soccorso ai poveri dove è più viva l’immagine di Gesù. Gesù popolava le Case dei poveri di un buon samaritano come don Guanella, il fascino del servizio ai poveri ha spinto la decisione di Aurelio Bacciarini a legare tutta la sua vita e il suo sforzo di raggiungere la perfezione attraverso l’Opera di don Guanella.

La tempra e il vigore dei suoi desideri emergono dai propositi che egli nutriva nel cuore, scriveva, inaffi: «Mi obbligo a praticare tutte le piccole mortificazioni corporali a me possibili; mi obbligo a scegliere sempre l’ultimo posto in tutte quante le cose; userò ogni industria, anche e specialmente con sacrificio di me stesso, per far amare Gesù. Mi obbligo a fare ogni giorno un’ora di preghiera davanti al SS. Sacramento, togliendola al riposo, per la santificazione dell’Istituto». A questo impegno di preghiera, mons. Bacciarini rimase sempre fedele, anche da vescovo. I testimoni che deposero ai diversi processi sull’opportunità della apertura della sua causa di beatificazione, e che vissero con lui in episcopio a Lugano, affermano che il Servo di Dio passava la più parte della notte in preghiera o nella sua camera o nella piccola cappella che aveva ricavato da quella che, un tempo, era stata la sala del trono del suo predecessore.

Discepolo fedele di don Guanella Fino alla morte del Fondatore don Bacciarini lega indissolubilmente ogni sua attività ai desideri e alle direttive di don Guanella, perfezionando sempre più il legame che lo unisce al «Padre», come egli stesso sovente lo chiama. Scrive, nel 1921, don Leonardo Mazzucchi, amico e confratello del Servo di Dio che gli successe come Superiore generale dell’Istituto: «Bene grande ha fatto veramente don Aurelio Bacciarini. Fissata la sua dimora nella casa di Como, vi apparve subito il padre dei poveri e dei sofferenti, la guida saggia ed illuminata, il suscitatore luminoso di dottrina e di virtù non comune; ogni desiderio ed ogni santa iniziativa del dolcissimo padre don Guanella trovava nel saggio discepolo un fedele interprete ed un pronto ed alacre esecutore; ogni desiderio ed ogni speranza nel cuore di don Guanella erano avverati e superati nella splendida riuscita del figlio, intento ad apprendere e ad assimilare lo spirito del Padre».

Di fatto, non è il caso di soffermarvisi, le opere a cui don Bacciarini si dedicò in quegli anni, erano quelle stesse che il Fondatore aveva intraprese: il compimento del Santuario del Sacro Cuore in Como; la predicazione; l’attenzione alla crescita spirituale delle due famiglie religiose dei Servi della Carità e delle Figlie di S. Maria della Provvidenza, delle quali visitava periodicamente ogni comunità. Tutto però, è ancora don Mazzucchi che lo attesta, «ai cenni di don Guanella». Carità operosa in tutto e verso tutti A contatto con il Fondatore, il Venerabile Aurelio perfezionò alcune tematiche che erano proprie della spiritualità di entrambi: «In omnibus Charitas», il motto dell’Istituto, che diventerà poi anche il suo motto vescovile, fu vissuto dal Bacciarini, religioso e vescovo, in pienezza singolare, possiamo dire eroica; da quando, novizio egli stesso già incaricato di formare i giovani aspiranti dell’Istituto, ribadiva loro che «i nostri poveri ricoverati vanno amati, perché sono nostri, sono la nostra eredità» e informava le conferenze che teneva ai novizi allo spirito di generosità, alla fede soprannaturale, per la quale un Servo della Carità può e deve «essere felice di vivere in mezzo ai miseri; e dobbiamo gloriarci di assistere i poveri». All’esempio che egli seppe offrire da religioso si affianca quello che, parimenti, offrì da vescovo, quando i poveri, gli ammalati, quelli che, in una parola, definiamo gli «ultimi», avevano la prevalenza su tutto e su tutti. Un teste al Processo Apostolico di Lugano, affermava che nell’episcopio era un via vai continuo di poveri che il vescovo riceveva personalmente, interrompendo anche le udienze ed ogni tipo di lavoro.

«Aveva una grande venerazione e stima per i poveri - afferma nella sua deposizione un teste - perché per lui, il povero era la figura di Gesù Cristo stesso. Mai nessun povero - sostiene un teste che viveva in episcopio - fu respinto da lui, anzi più di una volta fui richiamato perché nelle sue udienze e lavori eccessivi, questi poveri erano talmente tanti che bussavano alla porta che io mi vedevo costretto a rimandarli indietro. Il Servo di Dio udiva il campanello: “Chi ha suonato?”. “Un povero, Eccellenza; ma oggi non c’è più tempo”. “Non è vero, i poveri non bisogna mai congedarli”. Era bello - conclude il teste - vedere come li riceveva e li soccorreva, non umiliando nel dare la carità, ma spronando a ricavarne un benessere non solo fisico, ma anche spirituale». Un vescovo povero sempre e mai un povero vescovo Alla morte di don Guanella la Santa Sede , lo incaricò a reggere il timone della nascente Congregazione. Dovette rinunciare all’incarico nella parrocchia di san Giuseppe al Trionfale a Roma. Ma poco più di un anno dalla morte del Fondatore papa Benedetto XV lo convocò e gli comunicò la sua intenzione, irrevocabile, di elevarlo alla dignità episcopale nella diocesi di Lugano. L’elevazione all’episcopato, ricevuta solo in virtù di santa obbedienza al Papa non lo allontanò dall’ideale di povertà e di servizio secondo il carisma di don Guanella. Anzi, quando fa l’ingresso in diocesi, scrive in un circolare ai confratelli guanelliani: «Ho in cuore un dolore che nessuno misura, ma mi conforta il pensiero che sono ancora con voi, non solo coll’affetto e la preghiera, ma ancora con la cooperazione nel promuovere le opere di carità lasciateci dal compianto comune padre». E ancora: «Io prometto di venire a voi ogni qualvolta le cure della diocesi lo consentiranno, non già che io reputi necessaria l’opera mia, ma perché ambisco d’esser partecipe della croce che voi portate per amore dei poveri di Gesù Cristo». Pensiero che ribadisce nella sua prima lettera pastorale: «Oh, avrei preferito vivere e morire nell’ultimo ricovero di don Guanella, dove più sicuro è il sentiero dell’Eternità, perché è fatto di umiltà e povertà».

L’amore all’umiltà, alla povertà e il conseguente pieno abbandono alla Divina Provvidenza, sono i temi che ricorrono nell’insegnamento di san Luigi Guanella e che, parimenti, ricorrono nelle parole del Venerabile Vescovo: «Voler aspirare alla vita di comunità come la nostra senza umiltà generosa, sarebbe un passo troppo temerario». E sottolineando le difficoltà di una Congregazione nascente, bersagliata da critiche e scetticismo, diceva: «Siamo poveri, siamo pochi, siamo poco bene organizzati. Fidiamoci di Dio. Egli provvederà (...) e non solo dobbiamo abbandonarci a Dio con fiducia circa l’avvenire della Congregazione, ma in tutte le incertezze, in tutte le difficoltà, in tutti i travagli. Stiamo tranquilli nelle mani di Dio; Dio provvederà. Dio provvede sempre a chi si abbandona in Lui». E a prova che questa fiducia è davvero ben riposta, il Servo di Dio citava la riuscita delle opere di don Guanella, chiamandole «miracoli di Dio» e riportandosi, ancora una volta, con lo sguardo al Fondatore: «Don Guanella era povero, come poveri siete voi, come poveri siamo noi tutti. Eppure cosa è riuscito a fare? Tuttavia egli viveva ancora povero come era al principio, ricco di una cosa sola: di confidenza in Dio». Mons. Bacciarini vescovo attuò a sua volta e in modo perfetto questa singolare somiglianza con don Guanella. Diversi testimoni, interrogati sulla virtù della povertà esercitata dal Servo di Dio, hanno confermato che, pur essendogli passate fra le mani somme ingenti, le seppe usare con prudenza e saggezza solo per fare il bene. Don Giulio De Maria che, per un certo tempo a Lugano fu suo confessore, ha affermato che la povertà e l’abbandono in Dio, non solo furono un voto emesso, ma una «consacrazione che lo contraddistinse in tutta la vita». Questo «figlio della Provvidenza» come chiamava Aurelio, fanciullo, il suo parroco a Lavertezzo, era sicuro che «Don Guanella trascorre il suo Paradiso pregando per noi, però questo non dispensa noi dal lavoro. Noi abbiamo il dovere di cooperare perché il disegno tracciato da don Guanella sia interamente compiuto da noi Servi della Carità, innanzitutto.

Io sono stato divelto dal campo di questo santo lavoro. […] Non so se riverrò negli ospizi di don Guanella almeno per prepararmi a morire. Ma dovunque finirò i miei poveri giorni, io seguirò la sorte delle istituzioni di carità di don Luigi Guanella, col pensiero, col cuore, con la preghiera, coll’opera, come mi sarà consentito sino all’ultima ora della mia vita. E voi, Servi della Carità, continuate il vostro sacrificio quotidiano sull’altare della carità. Non è molto, un confratello mi scrisse così: “Monsignore, preghi la Madonna che mi doni presto il Paradiso”. E no, caro confratello, il Paradiso verrà quando Gesù, nostra vita, ci chiamerà. Da parte nostra, dobbiamo restare sulla breccia del sacrificio». Un’anima posseduta da Dio Sappiamo che soprattutto l’episcopato per il Servo di Dio fu non solo un sacrificio, ma un martirio di sofferenze fisiche e spirituali che impressionarono persino un’anima di asceta come il Beato card. Ildefonso Schuster che fu teste al Processo rogatoriale di Milano e, interrogato sulle virtù di mons. Bacciarini, disse: «Ammirai sempre lo zelo episcopale che struggeva mons. Bacciarini e mi destava l’impressione che fosse un’anima veramente posseduta dal Signore (...) Era davvero il Giobbe dell’episcopato (...) Ne piansi la morte come di un affezionato amico, ma sono sicuro che egli mi continuerà l’amicizia anche in Cielo». «Pregare e patire»: il binomio che il san Luigi Guanella ha lasciato in eredità ai suoi figli fu veramente vissuto da questo suo primo discepolo. Continui, nelle sue lettere circolari ai confratelli, sono i riferimenti al «ricordo estremo di don Luigi: “pregare e patire”.

Questo deve essere il nostro perseverante impegno». E soprattutto gli anni del suo ministero a Lugano lo videro impegnato a vivere proprio di preghiera e di sofferenza: «Le croci le sceglie il Signore, non noi: coraggio e santa letizia», scriveva a don Mazzucchi nell’agosto del 1919 e nel dicembre dello stesso anno: «Andiamo avanti in nomine Domini e non badiamo né a destra, né a sinistra. Che cosa non ha fatto don Luigi? E noi pretendiamo di passarcela liscia? Tutto passa: basta fare il nostro dovere e soffrire come vuole Iddio». Nella lettera circolare scritta l’11 settembre 1920 da Davos, dove si trovava per un periodo di riposo e di cure necessari dopo una forte ricaduta dovuta alla sua forma di etisia, scriveva: «Mi affretto a dirvi che sono in pari tempo felice di poter offrire al Signore qualche cosa per il bene della nostra cara Congregazione. Da tanto tempo in qua, io raccolgo tutte le croci che mi manda il Signore e le presento agli sguardi della sua misericordia perché le accolga per la nostra Congregazione. E mi sembra che, se alla Congregazione giovasse il povero sacrificio della mia vita, non esiterei un istante a farlo con tutta la letizia del mio cuore». Bacciarini fu un discepolo che ha onorato il maestro, un degno e santo Servo della Carità, come fu don Guanella, e, anche da vescovo, ha portato a completezza quei doni che Dio aveva concesso con il dono di attingere al guanelliano carisma di carità.

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