Il beato Giuseppe Baldo, contemporaneo di don Guanella, praticò come lui la carità verso i poveri. La sua missione continua attraverso le Piccole Figlie di san Giuseppe

di Corrado Vari

Nello stesso giorno in cui facciamo memoria di san Luigi Guanella, ricordiamo anche un altro santo sacerdote suo coetaneo che nello stesso giorno, il 24 ottobre 1915, bussava alla porta del Cielo. Don Giuseppe Baldo, beato dal 1989, è accomunato a don Guanella da un’analoga storia di fede solida, di ardente carità, di fiducia illimitata nella Provvidenza divina e di devozione a san Giuseppe.

 Sesto di nove figli, egli nacque il 19 febbraio 1843 a Puegnago, sulla sponda bresciana del lago di Garda ma in diocesi di Verona, da Angelo, agricoltore, e da Ippolita Casa, ostetrica del paese. La sua famiglia viveva ogni giornata nell’orizzonte della fede cristiana e gli trasmise l’importanza di svolgere ogni compito con impegno e dedizione, rifiutando i compromessi sulle cose fondamentali. «Fare ogni cosa sotto gli occhi di Dio e con la maggior perfezione possibile», avrebbe stabilito anni dopo come suo fermo proposito.

Ragazzino brillante e intelligente, allegro e serio, dopo tre anni di scuola elementare, il suo destino naturale sarebbe stato quello di dare una mano a suo padre nel lavoro dei campi. Invece Giuseppe voleva continuare a studiare, ma non per ambizione personale, bensì perché aveva già nel cuore il germe della vocazione. Un giorno trovò il coraggio di confidarlo a sua madre, donna tutta d’un pezzo e di poche parole. «Voglio studiare, voglio farmi prete», le disse. La breve risposta di mamma Ippolita, che gli si incise nel cuore, avrebbe ispirato tutta la sua vita: «Ci sono due sorta di preti, pensaci bene: o prete buono o niente». Più volte in seguito Giuseppe avrebbe richiamato quell’ammonimento: «O vivo da santo cercando la perfezione o finirò dannato. Un sacerdote che non sia santo neppure può chiamarsi sacerdote. I miei ministeri richiedono che io sia santo».

Con il sostegno della mamma e del parroco fu superata la resistenza del padre e il ragazzo poté continuare a studiare; ma la scuola era a Salò, con dieci chilometri al giorno da fare a piedi, dal 1851 al 1858, fino alla fine del corso ginnasiale.

L’aspirazione al sacerdozio divenne in lui sempre più profonda. Nel dicembre 1858 entrò in seminario a Verona; gli ottimi risultati nello studio, la sua condotta esemplare e la sua crescita spirituale lo condussero a essere ordinato sacerdote a soli ventidue anni, con una speciale autorizzazione pontificia, il 15 agosto 1865.

Dopo un anno di lavoro come coadiutore in una parrocchia della provincia, il vescovo Lui-
gi di Canossa conferì al giovanissimo prete l’incarico del Collegio Vescovile di Verona, convitto nato per «formare ottimi cristiani e colti cittadini, capaci di occupare nel mondo posti distinti». Vi restò dal 1866 al 1877, facendo fiorire l’istituzione e rivelandosi fecondo educatore.

Ma al termine di questa esperienza, il desiderio di don Baldo fu quello di un impegno pastorale più ampio. Nell’agosto del 1877 fu così nominato parroco di Ronco all’Adige, centro agricolo della bassa veronese, caratterizzato dal latifondo e dalla presenza di numerose famiglie di braccianti e operai, mentre tra i notabili del paese era diffusa l’affiliazione massonica e una condotta apertamente anticlericale. Saranno proprio i notabili i più accaniti avversari di don Giuseppe, che manterrà sempre verso di loro un atteggiamento schietto ma aperto, teso alla concordia e alla collaborazione.

Nell’omelia per il suo ingresso in parrocchia c’è la descrizione del “prete buono” di sua madre: «Sono il vostro parroco. Vostro: dunque tutto per voi. D’ora innanzi voi avete una nuova proprietà, un nuovo cuore cui avete diritto di fare appello; una nuova anima, che per assoluto dovere dovrà soffrire per voi, per voi agonizzare […] Per voi di giorno; per voi di notte. La giornata più bella sarà quella in cui potrò aver donato a Dio un’anima».

Questo fu il cuore dei suoi 38 anni di ministero – il resto della sua vita - che segneranno a lungo l’identità di quella comunità, anche dopo la sua morte e fino ai giorni nostri. Vivendo sempre in povertà e affrontando inevitabili ostacoli e difficoltà, don Baldo fu infaticabile promotore di innumerevoli iniziative e opere in ambito pastorale, educativo e sociale, che qui non è possibile nemmeno elencare. Ne ricordiamo solo una, la più importante: insieme a madre Clementina Forante (1864-1928), nel 1894, per l’assistenza ai bisognosi e per l’educazione dei giovani, istituì la congregazione delle Piccole Figlie di San Giuseppe, oggi presenti con numerose case e scuole in Italia e in altri paesi di Europa, Africa e Sud America. Non solo le sue suore, ma ogni sua opera egli pose sotto il patrocinio del Santo di cui portava il nome.

Di san Giuseppe don Baldo diceva (descrivendo di fatto anche sé stesso): «Fu chiamato alla vita attiva, ma questa vita attiva alimentava e fortificava ogni giorno con la vita contemplativa». La grande operosità di don Giuseppe Baldo affondava infatti le proprie radici in una vita interiore ispirata all’esempio del Patriarca; dedicava lunghe ore alla preghiera, alla meditazione, all’adorazione eucaristica, lavorando su di sé per governare un temperamento naturalmente focoso e impulsivo, oltre che franco e determinato.

Così raccomandava: «Fate come san Giuseppe: lavorate con assiduità, ma lasciate che la Provvidenza disponga di tutto». E così parlava in occasione dei venticinque anni di ministero parrocchiale: «Non ho parole per esprimere la protezione di san Giuseppe. Sotto il suo manto mi sono posto prima di mettere piede in questa chiesa. E quando falliva ogni speranza umana, mi confortava il pensiero che san Giuseppe mi avrebbe aiutato: spes contra spem, e non una volta mi sono trovato deluso».