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Protagonista con don Guanella di quell’evento di cento anni fa 

di Graziella Fons

Il genio caritativo della Chiesa ha scritto la storia di questi duemila anni. Questo genio consiste nello stare accanto ai sofferenti come il prolungamento della presenza reale di Cristo nella storia umana. A questo riguardo, diceva il beato Paolo VI: «È Cristo che ispira, guida, sostiene, trasfigura e santifica ogni iniziativa ecclesiale al servizio dei poveri». La Chiesa, come una mamma, ha la percezione del dolore umano in ogni condizione di disagio e per ogni età.
Il terremoto della Marsica del 13 gennaio 1915 ha trovato don Guanella sulla frontiera della desolazione nel soccorrere i poveri. Da subito, a causa delle precarie condizioni di salute di don Guanella, don Aurelio Bacciarini si prodigherà nei paesini disastrati della zona di Avezzano per offrire soccorso ai sopravvissuti. 
Scriveva don Guanella: «Fui ad Avezzano con don Bacciarini per misurare l’enormità del disastro che ha raso al suolo paesi e borgate come la falce fa del fieno. […] I superstiti sono inebetiti. Distribuiamo viveri. Si ascoltano e si vedono a ogni passo pietosissime scene. Ritornammo  in un treno di feriti; sotto gli sguardi, uno spettacolo rattristante di infermi e feriti, ammucchiati in stato di grave pena sui vagoni». 
Da subito inizia la spola nell’accompagnare a Roma, nelle case guanelliane, orfani, vecchi. Il biografo di don Guanella, don Leonardo Mazzucchi, trascrive una pagina del Fondatore nella quale si informa: «Il parroco di san Giuseppe al Trionfale, don Aurelio Bacciarini, che è pellegrino di carità per le valli e i monti dei paesi devastati, ha inviato un telegramma di questo tenore: “Preparate il posto, giungo questa notte con sessantanove profughi”. Ci si organizza per preparare un po’ di cena. I sacerdoti della comunità religiosa si prestano a preparare coperte e materassi nel salone del doposcuola in modo che tutti avessero un posto per ripararsi e riposarsi».
Anche le suore guanelliane sono sulla frontiera dell’emergenza. Presso la casa san Pancrazio diedero ospitalità a una sessantina di ragazze minorenni anche al di sotto dei due anni e si attrezzarono per ospitare un’altra cinquantina di giovani donne. 
Oltre all’organizzazione di un Comitato ”Pro Abruzzi” presso la comunità parrocchiale, per la raccolta di generi di prima necessità, don Bacciarini ha rivolto un appello  ai sacerdoti affinché fossero disponibili a recarsi in quei luoghi disastrati per essere angeli di consolazione per quelle popolazioni prive di chiese e di conforti religiosi, ed è riuscito a radunare un drappello di generosi sacerdote disponibili a recarsi nei luoghi terremotati.
Nei giorni del terremoto don Bacciarini percorreva i paesi di montagna. Sul monte Bove venne assalito da lupi famelici e tornò a Roma con gli abiti sbrandellati. Una notte arrivò con un gruppo di scampati. Non c’era più posto, allora mandò il sacrestano nelle camere dei preti affinché dove avevano due materassi nel letto ne prendesse uno per offrire un giaciglio a quei poveracci.
 Il vice parroco del Trionfale, don Previtali, ha dichiarato: «Io non so cosa don Aurelio abbia fatto in quei cinque o sei giorni di assenza da Roma. So che tornò in parrocchia tutto malmesso, con gli abiti lacerati, ma con grande gioia nell’anima, comunicando che sarebbero arrivati dei terremotati e che, quindi, era necessario procurare brande, lenzuola, coperte per provvedere un confortevole alloggio».
In quei territori, bagnati dal sangue e dalle lacrime, don Bacciarini si incontrò con don Orione. In quella terra di sofferenza e in un momento di dolore nacque una profonda amicizia, continuata anche dopo la morte di don Guanella.
Nelle cronache di casa nostra si legge che una ragazza, aggregata per la drammatica circostanza alle suore di don Guanella anch’esse presenti ad Avezzano come volontarie, giunta alla stazione, passando tra le baracche, trovò don Bacciarini a fasciare le ferite a questi poveretti.
Alla domanda: «Ma, don Aurelio, che sta facendo?», con naturalezza rispose: «Faccio la mamma per amore di Dio».
In questa risposta è sintetizzata tutta la spiritualità del venerabile Aurelio Bacciarini. Egli era un contemplativo. Dalla contemplazione del mistero dell’amore di Dio per le creature traeva tutta l’energia che muoveva i suoi passi alla ricerca dei poveri da soccorrere. Lo ha fatto da parroco al Trionfale percorrendo i sentieri di quell’immensa baraccopoli, portando a tutti soccorso per ogni necessita fisica e spirituale. Nessuno incrociava la sua strada senza un dono di grazia: un sorriso, un incoraggiamento, una disponibilità all’ascolto e una garantita solidarietà per la vita.
Questo stile del pastore con «l’odore delle pecore» l’ha conservato anche nella sua vita di vescovo nella diocesi di Lugano. Mons. Martinoli, che fu giovane sacerdote con il vescovo Bacciarini e, dopo il vescovo Jelmini, gli succedette al governo della diocesi, un giorno confidava al postulatore della causa di canonizzazione che «un quarto d’ora di conversazione con il vescovo Aurelio aveva il frutto di una giornata di ritiro spirituale». La santità di una persona traspare e si avverte come una carezza calda d’amore che dura nel tempo.
Qualche tempo dopo il terremoto di Avezzano, alla parrocchia di san Giuseppe al Trionfale si presentò un distinto signore a chiedere del parroco.  Appena vide don Aurelio, si mise in ginocchio, dicendo: «Reverendo, lei non si ricorda, io sono il capitano (e disse il nome) che lei salvò dal terremoto. Lei si ridusse a passare la notte in un cantuccio di un vagone, con una sola leggera coperta, dopo aver dato tutto per curare e coprire me».
È lo stile dei santi.
 
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