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di don Massimo Camisasca

«Sin dall’inizio era toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza, non si accontentava di una bellezza qualunque, di una bellezza banale: cercava la Bellezza stessa, la Bellezza infinita; così ha trovato Cristo, in Cristo, la vera bellezza, la strada della vita, la vera gioia». Così il cardinale Ratzinger ricordava don Luigi Giussani il 24 febbraio 2005, giorno del suo funerale nel duomo di Milano.
Non è semplice sintetizzare la vita di un uomo poliedrico, che è stato un genio dell’umano e della fede. Ma un filo conduttore si può rintracciare in quelle parole di Ratzinger: il cristianesimo come avvenimento di bellezza.

Un impeto irrefrenabile

Lombardo di Desio, Giussani nasce il 15 ottobre 1922 (lo stesso anno in cui un suo concittadino, Achille Ratti, diventava papa). Entra in seminario a undici anni: prima a Seveso, poi a Venegono. Viene ordinato sacerdote dal cardinale Schuster nel 1945, un mese dopo la fine della guerra. Prosegue gli studi, ma nel 1954 si trova a scegliere tra il lavoro scientifico presso la facoltà teologica e la missione tra i giovani. È lui stesso a raccontare l’episodio decisivo: «Incontrai sul treno un gruppo di studenti e incominciai a discutere di cristianesimo con loro. Li trovai così estranei alle cose più elementari che mi venne come irrefrenabile impeto il desiderio di far conoscere loro quello che io avevo conosciuto. […] Abbandonai perciò, sollecitato dal rettore, l'insegnamento in seminario».
Inizia così a insegnare religione al liceo classico «Berchet» di Milano, e si inserisce nella Gioventù Studentesca (il movimento studenti di Azione Cattolica), di cui ben presto diviene la guida. L’impostazione di Giussani è così innovativa da far dire a padre Cocagnac, di passaggio a Milano, che non aveva veduto «nulla di simile in tutta Europa». La nuova Gs è concepita come comunità cristiana presente nell’ambiente della scuola: la sua attività si sviluppa secondo le tre dimensioni di cultura (convegni di grande rilevanza), carità (condivisione della vita dei ragazzi poveri della Bassa milanese) e missione (fino alla partenza per il Brasile di quattro giessini).

La nascita di Cl

Nel 1965 Giussani viene allontanato da Gs e mandato in America a studiare. Tornato dopo cinque mesi, insegna all’Università Cattolica di Milano. In quegli anni di contestazione, una piccola comunità di studenti, rimasta a lui fedele, prende il nome di Comunione e Liberazione: la liberazione dell’uomo non nasce dalla rivoluzione, ma dalla comunione cristiana. È il 1969. Negli anni ’70 il nuovo movimento si diffonde rapidamente in molti atenei italiani, ma anche nelle scuole e nel mondo del lavoro.
Gli anni Ottanta sono quelli del riconoscimento e dello sviluppo, grazie alla sintonia con il nuovo pontefice.  L’11 febbraio 1982, dopo un lungo cammino, viene approvata per decreto pontificio la Fraternità di Comunione e Liberazione, definita da don Giussani stesso il volto adulto del movimento. L’udienza con Giovanni Paolo II del 1984 e il suo invito ad andare «in tutto il mondo a portare la verità, la bellezza e la pace, che si incontrano in Cristo Redentore» assumono per Cl il significato di un incoraggiamento particolare. Oggi il movimento è presente in circa settanta paesi.
Don Giussani muore a Milano il 22 febbraio 2005, dopo una lunga malattia i cui primi segni si erano manifestati nel 1992. Il suo corpo è sepolto nel Famedio del Cimitero Monumentale e la sua tomba è oggi meta di numerosi pellegrinaggi.

Soprattutto un educatore

«Ferito dal desiderio della bellezza»: Giussani è stato un appassionato di poesia, di letteratura, di musica. Amava Leopardi, Pascoli, Claudel, Peguy, Eliot. E poi Beethoven, Mozart, Schubert. In loro trovava una strada per conoscere gli uomini. Egli era interessato all’uomo e al dramma inevitabile della sua esistenza. Ed era certo che tutti, nel fondo del loro essere, condividono le stesse esigenze, di verità, di giustizia, di felicità. Ciò che egli ha chiamato il senso religioso.
I suoi insegnanti di Venegono avrebbero voluto che diventasse teologo. Ma Giussani non era un teologo in senso stretto. Nella teologia cercava il mistero della vita. Il primo capitolo del Vangelo di Giovanni, il verbo di Dio si è fatto carne, fu per lui la scoperta della compagnia di Dio all’esistenza: la stessa presenza mendicata dalle poesie di Leopardi. Voleva portare questa compagnia agli uomini: per questo, tra la facoltà teologica e la missione tra i giovani, scelse la missione.
Giussani è stato soprattutto un educatore. La sua preoccupazione è sempre stata quella di trasmettere ai giovani in modo chiaro, affascinante e coinvolgente il patrimonio della tradizione cristiana. Il suo desiderio era mostrare la capacità del cristianesimo di rispondere alle attese degli uomini, di illuminare la loro vita. E il cristianesimo poteva farlo perché era un avvenimento, un incontro con una persona presente, ricca di fascino, umanamente interessante e conveniente.
È stato un maestro, che ha educato la fede di tante persone impegnate nel mondo sociale, politico ed ecclesiale. Ha radunato intorno a sé un popolo. Come ha detto ancora Ratzinger al suo funerale, «realmente voleva non avere per sé la vita, ma ha dato la vita, e proprio così ha trovato la vita non solo per sé, ma per tanti altri».
San Giuseppe e il vocabolario

È don Giussani stesso a raccontare nel libro Perché la Chiesa le origini della sua devozione a San Giuseppe. Era l’ottobre del 1938, frequentava la prima liceo a Venegono ed era alle prese con un problema: «Mia madre mi aveva spedito il vocabolario di greco del Gemoll, ma i giorni passavano e il Gemoll non arrivava; nei compiti in classe dovevo sempre chiedere il vocabolario al compagno, con gran seccatura dell’amico e anche mia».
Un giorno padre Motta, il padre spirituale, spiega loro che il mercoledì era, dalla pietà cristiana, il giorno della settimana dedicato alla devozione a san Giuseppe e che gli studenti dovevano rivolgersi fiduciosi a lui. «In quell’istante», scrive don Giussani, «alle sette del mattino, ho detto: oggi arriva il Gemoll».
Il Gemoll effettivamente arrivò quel giorno, e arrivò quando ormai sembrava impensabile: non alla consegna della posta a mezzogiorno, non a quella più rara del pomeriggio, ma, caso eccezionale, alle dieci e mezza di sera, alla campana di fine giornata. Co­me un messaggio speciale di San Giu­seppe per Giussani.
Da allora il fondatore di Cl ha invitato spesso a pregare san Giuseppe: agli esercizi spirituali di Gs a Varigotti, quando pioveva e il giorno dopo i ragazzi dovevano fare la via crucis. E agli incontri dei Memores domini, dove una volta spiegò che san Giuseppe è «la più bella figura d’uomo concepibile che il cristianesimo ha realizzato», per «la distanza profonda che viveva nella vicinanza assoluta con Maria». Un paradigma della verginità, definita da Giussani come «un possesso con un distacco dentro».
Ed è per questo che ho voluto che il riconoscimento pontificio della Fraternità san Carlo come società di vita apostolica, cadesse il 19 marzo. Volevo metterla nelle mani di san Giuseppe, come don Giussani mi aveva insegnato sin da ragazzo.

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