Seguendo il Pescatore di Galilea,  «presiedere nella carità a tutte le Chiese»

di Talia Casu

Il ruolo e il prestigio della comunità cristiana di Roma trova il suo fondamento nel culto di Pietro e Paolo, per la presenza delle loro sepolture là dove avevano reso la loro testimonianza col martirio.

Lo storico antico Eusebio di Cesarea nella sua Storia Ecclesiastica scrive che al principio del regno dell’imperatore Claudio, dopo il 41 d.C., Pietro sarebbe stato inviato dalla Provvidenza a Roma per opporsi a Simone mago. In quel periodo avrebbe dato inizio alla predicazione del Vangelo nell'Urbe. Secondo altre testimonianze l’evangelista Marco a Roma avrebbe scritto il suo Vangelo riflettendo sulla predicazione di Pietro.

 Il soggiorno dell’apostolo Pietro a Roma è certamente documentato nella Prima lettera di Pietro dove, in chiusura, si legge: «Vi saluta la comunità che vive in Babilonia e anche Marco, figlio mio». Con Babilonia, la grande città divenuta simbolo delle città pagane, si intende Roma, dove la comunità di Pietro dimora. Ricordiamo anche la lettera che Ignazio di Antiochia indirizza ai cristiani romani durante il suo viaggio verso la Città Eterna, dove sarà martirizzato.

Nel luglio dell’anno 64, scoppia un grande incendio a Roma e voci insistenti iniziano a circolare attribuendo la responsabilità a Nerone, che per sgravarsi di tale accusa riversa la colpa sui cristiani. In questo momento e per la prima volta si assiste ad un atteggiamento ostile nei confronti della comunità cristiana da parte delle autorità imperiali. Da testimonianze pagane e cristiane apprendiamo che una grande moltitudine di persone venne arrestata e condannata a morte con pene spietate. È in questo primo violento episodio di persecuzione che muore martire l’apostolo Pietro.

Da qual momento inizia a svilupparsi a Roma la tradizione petrina, alla quale si lega da subito quella paolina: tradizione ben attestata dalle fonti antiche, mai posta in dubbio né rivendicata da altre Chiese. Scrive Eusebio di Cesarea: «Narrano che Paolo fu decapitato a Roma e Pietro vi fu crocifisso sotto Nerone, ne è prova il fatto che il nome di Pietro e di Paolo si leggono sui loro sepolcri in quella città». Poi, a rafforzare la sua narrazione, aggiunge la testimonianza di un ecclesiastico di nome Gaio, vissuto al tempo di papa Zefirino, tra il 199 e il 217, che riferendo dei luoghi dove furono deposte le spoglie degli Apostoli martiri, dice: «Io ti posso mostrare i trofei degli Apostoli. Se vorrai andare al Vaticano o sulla via Ostiense, troverai i trofei dei fondatori di questa Chiesa».

Al martirio di Pietro sono legate anche varie tradizioni ricordate nei luoghi legati al culto del Pescatore di Galilea: il carcere Mamertino e il miracolo della sorgente per battezzare i i convertiti Processo e Martiniano, suoi carcerieri. Ma quella più nota, che inizia nel II secolo nel Martirio di Pietro, uno dei dodici capitoli di un testo detto Atti di Pietro, ci porta sulla via Appia antica, alla chiesetta del «Quo vadis?». Riferiamo però il racconto, più ampio e più poetico, che risale al IV secolo. 

«[La vita di Pietro è in pericolo e i fratelli della comunità lo implorano di mettersi in salvo lasciando Roma] Allora Pietro, sentendo tutte quelle suppliche ed essendo quanto mai sensibile per natura – non poteva mai passar sopra alle lacrime degli afflitti senza piangere lui stesso – vinto da tanti gemiti, rispose: Nessuno di voi venga con me. Mi cambierò vestito e andrò da solo. La notte seguente, compiuta la preghiera liturgica, salutò i fratelli e, raccomandatili a Dio con la benedizione, partì solo. Mentre camminava, gli caddero le fasce della gamba, consunte dal ceppo. Stava però per varcare la porta della città, quando si vide venire incontro Cristo. Lo adorò e gli disse: Signore, dove vai? (Domine, quo vadis?). Cristo gli rispose: Vengo a Roma per essere crocifisso di nuovo. E Pietro a lui: Signore, sarai crocifisso di nuovo? E il Signore a lui: Sì, sarò crocifisso di nuovo! Pietro replicò: Signore, torno indietro per seguirti. Quindi il Signore prese la via del cielo. Pietro l’accompagnò, fisso con lo sguardo e piangendo di consolazione. Tornando in sé, capì che le parole si riferivano al suo martirio, come cioè lui avrebbe sofferto per il Signore, il quale soffre negli eletti mediante la compassione pietosa e la loro celebrazione gloriosa. E così ritornò festante in città. Raccontò ai fratelli che il Signore gli era andato incontro e gli aveva detto che sarebbe stato crocifisso nuovamente per mezzo suo».

Per sua volontà, Pietro venne crocifisso a testa in giù: gli studi archeologici hanno chiarito che diverse erano le posizioni umilianti inflitte ai condannati, dunque è molto probabile che la tradizione corrisponda al vero.