Durante il suo pontificato introdusse la lingua latina nella liturgia, promosse il culto dei martiri e la visita delle catacombe
di Talia Casu
Nelle presentazioni degli antichi cimiteri cristiani, pubblicate da La Santa Crociata a partire dal gennaio 2024, abbiamo spesso fatto cenno a papa Damaso I (305-384) e ora con lui desideriamo concludere la serie degli articoli dedicati alle catacombe romane.
Le notizie biografiche che precedono il suo pontificato sono scarse e contradditorie, a cominciare dal suo luogo di nascita: secondo il Liber Pontificalis (che raccoglie le biografie dei papi da san Pietro a Pio II, papa dal 1458 al 1464) Damaso era di origine spagnola, ma una grande quantità di documentazione indica piuttosto Roma quale suo luogo di nascita. Da una iscrizione composta dallo stesso Damaso abbiamo notizie della sua carriera ecclesiastica a Roma: dapprima notaio, poi lettore, diacono e vescovo.
Durante il suo pontificato si trovò ad affrontare gravissimi contrasti, suscitati dal suo antagonista Ursino nella successione a papa Liberio (352-366),
come riferisce lo storico Ammiano Marcellino, nei quali si giunse anche allo scontro violento. Altre tensioni erano generate dalla presenza a Roma di alcune sette eretiche. Difficoltà a parte, il pontificato di papa Damaso, dal 366 al 384, è stato di grande peso per lo sviluppo della Chiesa: per sua iniziativa si passò dal greco al latino come lingua liturgica della Chiesa romana e per questo affidò a san Girolamo l’incarico di revisionare la versione latina della Bibbia.
Sul piano pastorale, l’aspetto più rilevante è il forte impulso che diede alla promozione e alla diffusione del culto dei martiri, tanto che al termine del suo pontificato Roma era circondata da una vera e propria “corona” di centri di culto martiriali, dove accorrevano folle di pellegrini.
Il culto dei martiri era ampiamente diffuso fin dalla seconda metà del II secolo, ma il desiderio di rafforzare questa devozione si consolidò nella comunità cristiana soprattutto nel secolo successivo. Con papa Damaso, il culto martiriale conobbe una forte crescita e una migliore organizzazione, con la ricerca delle tombe dei martiri e la loro monumentalizzazione, con la creazione di percorsi preferenziali per favorire il crescente numero di fedeli.
Testimonianza dell’opera di Damaso sono i suoi epigrammi: incisi su lastre di marmo dal suo collaboratore Furio Dionisio Filocalo, il più autorevole calligrafo del tempo, sono riconosciuti come una “liturgia perenne”. Nei versi dei carmi, nelle essenziali ed efficaci immagini usate da Damaso, traspare la sincerità dei suoi sentimenti, ma anche lo scopo attribuito a queste composizioni letterarie: tenere vivo l’esempio dei martiri e accompagnare i fedeli, con un culto semplice e suggestivo, alla riscoperta della fede della prima ora. La sacra solennità dei versi della letteratura latina, che in passato avevano celebrato le origini e gli splendori dell’impero, è ripresa da Damaso per celebrare le gesta degli eroi della fede, fino a formulare il concetto di “cristianità romana”: in pratica un cristiano che aveva subito il martirio a Roma acquistava la cittadinanza romana, diveniva civis romanus. Il concetto è espresso chiaramente nell’epitaffio dedicato agli apostoli Pietro e Paolo nel cimitero di san Sebastiano: «Questi apostoli li mandò l’Oriente, volentieri lo riconosciamo; ma in virtù del martirio, seguendo Cristo verso le stelle, giunsero nelle regioni celesti e nel regno dei giusti. Roma ebbe il privilegio di rivendicarli suoi cittadini» (Carmina Damasi, 19).
Riguardo le celebrazioni liturgiche, le fonti in proposito sono scarse e abbastanza generiche, ma non c’è dubbio che, oltre al canto dei salmi e alle preghiere, la ricorrenza della memoria del martire avesse il suo culmine nella celebrazione eucaristica, durante la quale ne era invocata l’intercessione per i vivi e i defunti. Con la fine delle persecuzioni, le celebrazioni divennero particolarmente solenni e Damaso favorì la partecipazione di moltissimi fedeli con l’allargamento delle cripte e la costruzione delle basiliche.
Lo spettacolo offerto dalle folle cristiane a Roma, soprattutto in occasione della festa di Pietro e Paolo, toccarono particolarmente san Girolamo, che rileva il passaggio epocale ed esprime un confronto tra l’Urbe pagana e Roma cristiana: «Ruggine e polvere coprono ormai il dorato Campidoglio e i templi sono ornati soltanto di tele di ragno; la città non è più quella di un tempo e il popolo non frequenta più i templi fatiscenti, ma corre ormai ai sepolcri dei martiri».