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Compagno di Pietro e di Paolo, pur non avendo
conosciuto il Signore, Marco scrisse quello che
probabilmente è il primo Vangelo. Vescovo di
Alessandria d’Egitto, a motivo della presenza delle sue reliquie a Venezia ne è diventato protettore e simbolo

di Lorenzo Bianchi

«Marco, interprete di Pietro, scrisse con esattezza le cose che ricordava, ma non secondo l’ordine di ciò che il Signore aveva detto e fatto. Egli infatti non aveva udito il Signore né lo aveva seguito, ma più tardi, come ho detto, aveva accompagnato Pietro. Egli dava gli insegnamenti secondo i bisogni, ma non come se facesse una raccolta sistematica dei discorsi del Signore. Cosicché Marco non sbagliò in nulla, avendo scritto alcune cose così come le ricordava. Di una sola cosa, infatti, egli si dava pensiero nei suoi scritti: non tralasciare niente di ciò che aveva udito e non dire niente di falso».

Queste parole, raccolte dallo storico Eusebio di Cesarea (Storia ecclesiastica, III, 39, 14- 15) sono del vescovo Papia di Ierapoli, che visse tra il I e il II secolo. Si riferiscono alla predicazione di Pietro a Roma e al Vangelo da lui dettato «secondo i bisogni». È il Vangelo di Marco, che il frammento papiraceo in lingua greca 7Q5, scoperto nelle grotte di Qumran, consentirebbe ora di datare anteriormente all’anno 50.

Della vita di Marco si conosce qualcosa soprattutto grazie ai rapporti che ebbe con Paolo e Pietro. Alcuni studiosi hanno riconosciuto in lui il giovanetto che nel Getsemani, dopo l’arresto di Gesù, fuggì: «Un giovanetto però lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo» (Mc 14, 51-52). I Vangeli e gli Atti degli Apostoli lo chiamano talvolta con il nome di Marco, talvolta con quello di Giovanni, talvolta con entrambi. Fu cugino, o meglio nipote di Barnaba, insieme al quale verso l’anno 45 accompagnò Paolo nel suo primo viaggio missionario, che dopo un soggiorno a Cipro toccò varie città dell’Asia Minore. Ma a un certo punto Marco ritornò indietro; poi verso il 51, non voluto da Paolo per un nuovo viaggio missionario, accompagnò Barnaba a Cipro.

Lo si ritrova quindi insieme a Pietro, probabilmente a Roma, verso il 60 (1Pt 5, 13; la lettera di Pietro è scritta da Babilonia, nome che gli esegeti hanno interpretato come indicante Roma, ma esso corrisponde anche a quello di un villaggio presso Alessandria d’Egitto). Da quanto si deduce invece dalle lettere di Paolo, nel 61 Marco è con lui, mentre negli anni successivi, quando Paolo è prigioniero a Roma per la seconda volta, è con Timoteo a Efeso e Paolo chiede che venga a Roma.

Una tradizione antica, fin dal II secolo, fa di Marco il fondatore della chiesa di Alessandria d’Egitto. Così la riporta il già citato Eusebio di Cesarea: «Narrano che Marco, inviato in Egitto, fu il primo a predicarvi il Vangelo, che mise poi anche per iscritto, e anche a fondarvi delle Chiese proprio ad Alessandria» (Storia ecclesiastica, II, 16, 1). E colloca questi avvenimenti nei primi anni dell’imperatore Claudio, verso il 42-43, con l’episcopato di Marco che durò fino al 62; ma queste date non si adattano a quelle che sembrano dedursi dalle lettere di Pietro e di Paolo. Secondo gli Atti apocrifi di Marco, l’evangelista morì martire a Bucoli, un villaggio vicino ad Alessandria, ripetutamente trascinato per le strade dai pagani legato con funi al collo poi, da morto, parzialmente bruciato dopo essere stato, forse, decapitato.

L’anno del suo martirio rimane dunque discusso e viene generalmente indicato nel 68, anche se il Chronicon paschale, una cronaca universale bizantina del VII secolo, colloca questo avvenimento durante il regno di Traiano (98-117). Una tarda tradizione, riportata da Paolo Diacono nell’VIII secolo, fa di Marco l’evangelizzatore della zona di Aquileia, ma si tratta di una notizia che la critica storica ha dimostrato leggendaria. Il sepolcro di Marco a Bucoli è invece attestato dall’inizio del V secolo come meta di pellegrinaggi.

Verso la metà di quello stesso V secolo le reliquie di Marco vengono trasferite, sempre ad Alessandria, nella chiesa del Canopo: da qui il 31 gennaio 828 furono portate a Venezia dai mercanti Buono da Malamocco e Rustico da Torcello. La presenza di Marco a Venezia e di una basilica a lui dedicata è testimoniata già da un documento dell’829, il testamento di Giustiniano Particiaco, sull’interpretazione del quale si è però molto discusso. Comunque la presenza delle reliquie attribuite a Marco è certa alla fine dell’XI secolo: esse furono viste durante la costruzione della nuova basilica veneziana che inglobò e ingrandì la precedente, consacrata nel 1094 e intitolata di nuovo a Marco. Il suo corpo in quell’anno fu deposto solennemente in un’urna marmorea posta nella cripta.

Notizie problematiche si hanno sulla reliquia del capo dell’evangelista: fu segnalato in Egitto nell’836, nel 1010, nel 1088 e verso il 1240; nel 1419 esso sembra essere ancora nella chiesa di san Giorgio ad Alessandria, e Venezia discute se recuperarlo, dubitando però della sua autenticità. Di certo queste notizie sono in contrasto con quanto emerse dalla ricognizione compiuta su iniziativa del patriarca Stefano Bonsignori il 6 maggio 1811, che rivelò la presenza di un corpo completo del capo. Una successiva ricognizione avvenne sotto il patriarca Giacomo Monico nel 1835, quando l’urna marmorea dalla cripta della basilica di san Marco fu trasferita sotto la mensa dell’altare maggiore nel presbiterio. Infine, un’ultima ricognizione fu effettuata il 24 novembre 1957 per volontà del patriarca Roncalli, il futuro papa e santo Giovanni XXIII.