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Giuseppe e Maria sono i testimoni principali del Mistero, apparso nel mondo in silenzio e povertà. Per primi
accolgono colui che è venuto a evangelizzare i poveri

di mons. Silvano Macchi

Dopo la pagina dell’Annunciazione, il “Vangelo delle origini” secondo Luca continua con la Natività, che ci è oltremodo familiare. Cercherò di vederla nella prospettiva di Giuseppe, anche se è noto che l’evangelista Luca è attento alla figura della madre e del bambino e non tanto a quella del padre terreno. Ma vedremo ancora una volta come Giuseppe sia partecipe di tutto quello che di misterioso, anche se povero e silenzioso, riguarda la Sacra Famiglia. Il brano è quello di Luca 2, 1-7 (box).

Anche nel racconto della nascita di Gesù, Giuseppe rimane nascosto, nell’ombra. Per la verità Maria stessa rimane sullo sfondo, anzi è sorprendentemente citata solo per inciso. Non vi è alcun accenno alla nascita verginale, né al concepimento per opera dello Spirito Santo. Piuttosto Luca dà spazio alla contestualizzazione storica del racconto, che diventa la cornice del quadro narrativo. Senza i versetti successivi a questo testo, dove si parla della presenza dei pastori e dell’annuncio angelico, non si comprenderebbe chi sono Maria e Giuseppe, perché il bambino è deposto in una mangiatoia, e soprattutto chi è questo bambino.

La vicenda del censimento offre un contrasto impressionante tra l’imperatore Ottaviano Augusto, conosciuto da tutti perché “guidava” la storia del mondo e voleva stabilire la pace tra i popoli, e il Messia povero (e con il Messia, poveri sono anche Giuseppe e Maria) e ignoto a tutti. Non deve sfuggire l’importanza che un censimento ha per chi detiene il potere: il sovrano vuole conoscere il numero dei propri sudditi per sottometterli alle sue esigenze politiche, militari e fiscali. Ma è evidente la tentazione insita nel censimento: ignorare che il popolo appartiene solo a Dio, non al sovrano.  È un pericolo sempre attuale.

Questo censimento è la causa del viaggio di Giuseppe e Maria dalla Galilea alla città messianica di Betlemme, la città del re Davide, luogo della loro origine, lungo un cammino di 150 chilometri, con il travaglio e la stanchezza che possiamo facilmente immaginare. Giuseppe, quale paterfamilias, ha la responsabilità di salire alla montagnosa Giudea, verso Betlemme, mentre Maria è incinta, anzi è alla vigilia del parto.

L’evento della Natività è descritto in tutta la sua naturalezza e umanità. Gesù è posto in una mangiatoia (forse in una stalla o in uno spazio semicoperto, sistemato in una grotta di una casa palestinese dove si nutrono gli animali). È un luogo non proprio conveniente, nonostante tutte le tenerissime cure di Maria che lo fascia. Così nasce Gesù, perché non c’era posto per lui nemmeno nel καταλύματι, una sorta di caravanserraglio, un riparo dove si poteva passare la notte senza togliere il giogo al proprio animale da sella o da tiro.

C’è una verità spirituale in una nascita così fatta: per il Figlio di Maria e di Giuseppe non c’è posto in questo mondo. Non è solo questione di alloggio, ma del fatto che egli non conta niente; non ci si accorge di lui! Non si accorgono i cronisti, gli storici, i filosofi, gli intellettuali, i pubblicisti, persino gli uomini religiosi.

Non si dice altro della nascita di Gesù, né di Giuseppe e Maria, se non quando comincia l’azione dei pastori e degli angeli, e solo successivamente si dice che Maria (e forse anche Giuseppe) «serbava tutte queste parole [dei pastori] e le meditava nel suo cuore»
(Lc 2, 19), quasi una seconda gestazione.

Credo che il concetto-chiave di tutto il racconto, quello che tutto interpreta, sia la povertà! Una nascita povera in tutti i sensi, senza splendore, senza nulla che faccia vibrare e scuotere la terra. Povertà del luogo, povertà di tutto; potremmo dire “abbassamento e gloria”, che anticipano, nella nascita di Gesù, il futuro della sua storia.

Povertà («Beati i poveri nello spirito») da cui anche Maria e Giuseppe imparano. Comprendono che il Mistero si nasconde dietro a fatti così scarni, per raccoglierne i frutti e attingere, proprio da questi fatti, il compito della loro vita: essere i testimoni dell’invisibile Mistero. Un figlio cambia sempre la vita e le prospettive dei genitori; a maggior ragione lo farà un figlio come questo, concepito in questa forma. Cambia anche san Giuseppe, silenzioso e umile custode di questo evento di salvezza che si realizza senza rumore né apparato, in un angolo dove nessuno se lo aspetta. Ma non è forse vero che l’opera meravigliosa di Dio rimane sempre nascosta, così come nascosti ai grandi di questo mondo sono i suoi santi? Se ne accorgono solo i poveri e gli umili, coloro che vivono ai margini dei grandi avvenimenti di cui parlano i giornali.

Giuseppe, “patrono dei poveri” e “sostegno nella difficoltà” (papa Francesco ha voluto inserire nelle Litanie di san Giuseppe le invocazioni Patrone pauperum e Fulcimen in difficultatibus) consenta che ce ne accorgiamo anche noi, poveri come lui; magari non di una povertà economica o sociale, ma poveri di prospettive, di speranze, e invece ricchi di ansie, dolori, stanchezze, preoccupazioni, timori e incertezze, che ci impediscono di guardare in avanti e soprattutto in alto. Eppure in questa nostra povertà ha deciso di abitare Dio, e san Giuseppe ha voluto accompagnarlo e accudirlo.