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di Anna Villani

Ernesto Olivero ed il Sermig sono una sola cosa. L’opera da lui “pensata” nel 1964 resta tra le più grandi intuizioni profetiche ad oggi realizzate da un laico, che è sposato, padre di tre figli e conta sette nipoti. E’ nato nel 1940 a Mercato San Severino in provincia di Salerno. Dopo avere lavorato in varie industrie del torinese e poi in banca, nel 1991 rassegna le dimissioni. Nel 1964 fonda a Torino il Sermig, Servizio Missionario Giovani, insieme alla moglie Maria e ad un gruppo di giovani. Nel 1983 viene assegnato al Sermig in comodato dal Comune di Torino l’ex Arsenale Militare di Piazza Borgo Dora. Olivero, incoraggiato da Giorgio La Pira, sente che questo sarà il primo grande passo di una profezia di pace. Ne inizia la trasformazione con l’aiuto gratuito di migliaia di giovani, di volontari, di uomini e donne di buona volontà da ogni parte d’Italia. L’11 aprile 1984 è il Presidente della Repubblica Sandro Pertini ad inaugurare l’Arsenale della Pace.

Ernesto Olivero è stato definito “imprenditore del bene”. Tanti i giovani affascinati dal suo silenzioso carisma. Per loro Olivero ha dato vita al movimento internazionale dei “Giovani della Pace” che vede periodici appuntamenti mondiali radunando decine di migliaia di giovani per ridisegnare il mondo partendo dalle nuove generazioni e dalla pace (il primo si è tenuto il 5 ottobre 2002 a Torino con 100.000 giovani). Il Sermig esce talvolta dal suo Arsenale per andare incontro ai più poveri, in Rwanda come nel Darfur, in Romania e in Georgia, ma anche in Italia. Nel 1992 Ernesto Olivero riceve il titolo di “Grand’Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana” conferito dal Presidente della Repubblica e nel 1996 il Presidente della Repubblica lo nomina anche “Cavaliere di Gran Croce”. Nel 1999 ha ricevuto dall’Università di Torino la laurea honoris causa in Sociologia. Gira l’Italia incontrando scolaresche e studenti, ed è veramente appassionante ascoltare le storie di uomini e di donne a cui il tetto dell’Arsenale ha dato una seconda opportunità di vita se non proprio per ridare la vita a chi stava per gettarla alle ortiche, dallo sconforto alla speranza Olivero è anche questo. La sua semplicità ne fa un uomo eccezionale, uno dei rari esempi socialmente concreti offerti dai tempi moderni.  

San Giuseppe, artigiano e lavoratore: come lo vedeva da piccolo e come lo vede oggi?
Di San Giuseppe mi ha sempre colpito il suo aver difeso una donna, Maria, che avrebbe potuto essere uccisa per la condizione “anomala” in cui si trovava. Di lui ho sempre amato la discrezione, il suo non mettersi in evidenza.
Proprio lo scorso Natale ho dedicato a lui una poesia, ora pubblicata in “Buona Pasqua Maria”, uno dei miei ultimi libri (Ed. Priuli & Verlucca 2011) (ndr, vedi a fianco).

Il padre putativo di Gesù è stato una presenza silenziosa nella vita del Messia ma al tempo un educatore profondo. I genitori oggi sanno ancora educare?
La crisi educativa di oggi è molto profonda e colpisce anche il ruolo dei genitori. Ma voglio andare subito alle cause di un problema sul quale noi stiamo battendo da anni: i genitori sanno educare se sono stati educati. Cosa fa la nostra società per aiutare due persone che stanno mettendo in piedi un progetto di vita? Eppure per l’avvio di un’attività commerciale si richiedono una serie di documenti e come minimo un corso sulla sicurezza! Come si fa a non curare una preparazione al matrimonio? La crisi attuale non è casuale e per un osservatore attento era del tutto prevedibile, perché è frutto della mancanza di preparazione fatta sistema.
Non è possibile che a dodici anni la formazione spirituale sia un capitolo chiuso, che nella maggior parte dei casi un ragazzo non riceva più strumenti per imparare a distinguere il bene dal male. Quanto ai corsi prematrimoniali, siamo sicuri che bastano pochi incontri per capire le chiavi della vita a due? E soprattutto: siamo sicuri che bastano pochi incontri prima del matrimonio a preparare a tutte le problematiche, spesso inimmaginabili, che una coppia incontrerà magari dieci, vent’anni dopo? Se un atleta si allena tutta la vita per raggiungere dei risultati, perché non ci si comporta nello stesso modo per sfide molto più grandi? Eppure Gesù ha parole di vita eterna, anche per le sfide che un genitore deve affrontare.
Noi Chiesa abbiamo tra le mani un tesoro immenso e spesso non lo comunichiamo più. Occorre tornare ad offrire, prima di tutto a coloro che hanno responsabilità educative, una formazione permanente, insieme ad una comunità solidale, pronta a condividere i problemi, le difficoltà, le crisi. Si impara a essere genitori e marito e moglie anche e soprattutto nel confronto con altre famiglie, nell’approfondire insieme le motivazioni.

Quanti giovani sono passati e mediamente passano al Sermig?
Dal 1964 ad oggi la nostra comunità ha incontrato quasi due milioni di giovani, qualche decina di migliaia ogni anno. Incontri che avvengono all’interno degli Arsenali ma anche fuori: nelle piazze, nelle scuole, negli oratori, per le strade e in tutti i luoghi frequentati dai giovani.

Nel corso degli anni ha potuto maturare una riflessione sulle nuove generazioni e su quelli che si presentano come volontari.
I giovani per il mondo di oggi sono diventati un problema. Per noi sono sempre stati un’opportunità, purché imparino a dire NO allo spinello, agli sballi vari che li fanno entrare in una condizione nella quale non sono più in grado di dominarsi. Noi non vogliamo vedere giovani “dipendenti”, vogliamo che diventino indipendenti, prima di tutto dai mali che vorrebbero privarli delle loro migliori energie, della loro vita.
I giovani che ci hanno ascoltato, accettando una via di impegno e di responsabilità, sono diventati dei giganti, pur restando persone semplici e normali. Ma noi adulti dobbiamo essere persone credibili, perché in ogni momento siamo “in vetrina”, anche se non ce ne accorgiamo. I giovani ci osservano e da noi si attendono umiltà e verità. Se le trovano, può anche capitare che ci stiano ad ascoltare. Quante volte ho iniziato un incontro con centinaia di giovani distratti ed annoiati! Sono stato severo con loro, ho additato con chiarezza le due vie che hanno davanti: la via della vita e la via della morte. Ma mentre lo facevo, mi mettevo nei loro panni e li amavo per le difficoltà che si trovano ad affrontare. E la mia vita, che è sotto gli occhi di tutti in ogni momento, parlava per me. Alla fine dell’incontro, quasi sempre, sono venuti a stringermi la mano guardandomi negli occhi.
Da qualche anno il Sermig ha proclamato i giovani patrimonio dell’umanità e stiamo chiedendo alle maggiori autorità di riconoscerli, curarli e valorizzarli come tali. Occorre una riconciliazione tra mondo degli adulti e mondo dei giovani. Gli adulti devono chiedere scusa ai giovani per averli ingannati con falsi valori, false ideologie, per averli “catechizzati” con il nulla, per aver loro venduto ogni genere di strumento e sostanza che li mettesse fuori dai giochi che contano.
Se l’oggi così com’è diventa domani, non c’è speranza per nessuno. Ma cambiare è ancora possibile. È tempo di riparare le mille brecce che la nostra mancanza di responsabilità ha creato. I giovani non possono farlo da soli. È inutile dire loro che sono il futuro se noi adulti non siamo disposti ad essere il presente. Occorre che noi adulti riscopriamo un’etica. Per questo di recente ho realizzato un manifesto: “Fermiamoci al giallo!”. È un invito a riprendere in mano le sorti della nostra società, prima che sia troppo tardi, con e per i giovani.

Come si diventa suo volontario ed in quali attività possono impegnarsi quelli che vogliono fare esperienza (resta gratuita) all’Arsenale della Pace?
Ai nostri volontari chiediamo la disponibilità ad “impastarsi” con la vita della nostra casa, a capirne la filosofia e un metodo che nasce da un’esperienza di ormai quasi 50 anni. Quindi l’umiltà di chiedere continuamente consiglio, di confrontarsi. Infine, la vera gratuità: da noi non esiste “rimborso spese”, i nostri volontari si pagano i pasti, le telefonate, i viaggi… Se questa disponibilità c’è, tutto il resto cresce insieme, conoscendosi poco per volta.
Dentro gli Arsenali le possibilità di impegno sono le più svariate, perché le nostre attività sono molto diversificate (dal sostegno allo sviluppo nel Terzo Mondo all’educazione dei giovani, dai servizi alle povertà del nostro tempo alle iniziative musicali e culturali, dalla spiritualità alla comunicazione mediatica) ed il 93% di esse si mantiene grazie ai giovani ed alla gente comune, gente buona e disponibile che ci aiuta gratuitamente.
Ma per noi è riduttivo parlare solo di “volontariato”. Il nostro desiderio più grande è che tutti coloro che passano dagli Arsenali scoprano un nuovo stile di vita, quello della “restituzione”, e se lo portino a casa: il meglio di me, dei miei beni e delle mie risorse a servizio del bene comune e dei più poveri, dentro e fuori dagli Arsenali. È entrando in questo spirito che ognuno di noi può cambiare il piccolo o grande pezzo di società che ha attorno: dal giovane che studia sul serio per prepararsi alla vita, al meccanico che fa con diligenza il suo lavoro, all’amministratore pubblico che rifiuta qualunque compromesso con mafie e corruzioni varie…  

Anche San Luigi Guanella proclamato santo l’ottobre scorso dal Papa è stato educatore di migliaia di bambini e di giovani. Che cosa sono i santi oggi e se qualcuno La indica come tale cosa gli risponde?
Ho sempre detto ai miei amici che la santità non consiste nell’essere perfetti o nel fare cose eccezionali, ma nel fare con amore straordinario le cose ordinarie. Nei nostri Arsenali non esistono lavori di serie A e di serie B: pelare patate e parlare con il Presidente della Repubblica hanno il medesimo valore. Una filosofia che ho visto vivere da un uomo che per me è un grande santo, e spero venga presto riconosciuto tale anche dalla Chiesa: il vescovo Luciano Mendes de Almeida. È stato per molti anni Presidente della Conferenza episcopale del Brasile, ma la sua frase più caratteristica non è cambiata: “Posso servire?”.
Quanto a chi mi indica come santo, mi dico che devo sempre stare in guardia e non montarmi la testa. Spesso applaudire un altro è solo un modo per non mettere in gioco se stessi…

A partire dal 1976 ha pubblicato diversi libri, i cui proventi vengono interamente messi a disposizione dei bisognosi ospiti dell’Arsenale. Il prossimo libro a cui lavora?
Si intitolerà “Pensieri al volo”, una raccolta di miei pensieri spesso scritti in aereo, dove passo tante ore. E poi ne ho in mente un secondo, “Racconti”, con storie della mia vita.

La rivista è edita dall’Opera don Gua­nella comprendente la Pia unione Transito di san Giuseppe per gli agonizzanti del giorno. Che rapporto ha con la morte?
Ho perso mamma e papà a vent’anni, l’una a pochi mesi dall’altro. Quando era ormai molto grave, mamma mi ha chiamato e mi ha chiesto di dirle la verità. Ho risposto: “Mamma, adesso è ora di pregare”. Poco dopo è volata in cielo.
Da allora la morte mi è amica, non mi fa paura perché in essa mia mamma ha trovato la vera vita. Questo però non mi impedisce di provare tutto il dolore possibile per la perdita di una persona cara. E quando la sofferenza colpisce un altro, penso che un “esserci” in silenzio sia l’unico atteggiamento che non è fuori luogo, insieme all’amicizia.

Quest’anno sono 47 anni dalla fondazione del Sermig, un’opera che va avanti con entusiasmo anche in Brasile e Giordania: ha ancora sogni da coltivare?
Molti. Vorrei non perdere mai nessun sogno che attraversa la mia vita. Non è nel mio stile voltarmi indietro per compiacermi del lavoro fatto. Preferisco guardare sempre avanti, perché ogni nuova occasione mi trovi pronto e vivo.

 

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