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di Ottavio De Bertolis

Vogliamo imparare a pregare con una delle preghiere più semplici e comuni del popolo cristiano, l’Ave Maria. Dopo il “Padre nostro” è certamente la più frequente sulle nostre labbra, ed è importante capire che cosa diciamo mentre preghiamo. La parola “Ave”, com’è noto, in italiano non significa niente, ed ha senso solo quando noi la usiamo in questo contesto, in quanto tutti noi sappiamo che comunque intendiamo ripetere il saluto che l’Angelo rivolse a Maria nell’annunciazione: anzi, è lo stesso suo saluto, e questo mostra innanzi tutto come sia una preghiera ispirata alla sacra scrittura, che trova le sue radici in essa.
“Ave” è un’espressione latina, che traduce il verbo greco “cháire”, che significa esattamente “rallegrati”: “Ave Maria” significa quindi “rallegrati Maria”, ed è una citazione del profeta Sofonia, quando questi invita Gerusalemme a rallegrarsi perché si sono compiuti i tempi messianici. In tal modo, con questa espressione che troviamo nel vangelo di Luca, e che Luca riprende dall’Antico Testamento, contempliamo in Maria la vera “figlia di Sion”, la personificazione di Gerusalemme, la fede dell’Antico Testamento compiuta e perfetta. Ci rallegriamo dunque con Maria perché il Signore è venuto, è con noi come è con lei; anzi, è con noi attraverso di lei, perché attraverso il suo “eccomi” è ormai entrato nella storia degli uomini, ci ha rivelato il Padre, ha mostrato nella sua morte la sua compassione per noi peccatori, e con la sua risurrezione rimane con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo, come Egli ha promesso. Dire “Ave Maria” significa dunque rallegrarci perché il Signore si è fatto vicino a tutti noi, è gioire della stessa gioia di Maria, con lei esultare in Dio nostro salvatore. Non ci rallegriamo dunque con Maria per un suo privilegio, per un dono fatto a lei e non a noi, ma per il dono fatto a noi tutti per mezzo di lei.
“Piena di grazia” è un’espressione che merita attenzione. Innanzi tutto è un participio perfetto, che indica un’azione compiuta e ormai definitivamente avverata, che permane definitivamente in se stessa. Con questa parola greca “kéchatitoméne” intendiamo dire che Maria è stata riempita di grazia in modo ormai definitivo e totale, e che rimane in questa grazia per sempre. Ci riferiamo a un atto gratuito di Dio ormai compiuto e pieno nella Sua serva. Maria è la “graziata” pienamente e definitivamente. Da che cosa? Dal peccato, dall’opacità che noi poniamo verso Dio, da ogni chiusura nei Suoi riguardi. Dio non solo l’ha preservata dal peccato originale, colmandola di grazia, ma ha creato in lei la creatura nuova per eccellenza, colei che pienamente è conforme a Cristo, la nuova Eva accanto al nuovo Adamo. Ma, anche qui come sopra, non dobbiamo pensare che questo sia un privilegio che la pone al di sopra di noi, come una dea: piuttosto, ricordiamo che, come lei, anche noi siamo stati, secondo quanto dice San Paolo, ricolmati di ogni grazia in Cristo, e per mezzo suo. La grazia che ha riempito Maria coprendola con la sua ombra fin dalla sua Immacolata Concezione è la medesima grazia che ci ha riempito in quella concezione, o concepimento spirituale, che è stato il nostro battesimo, e che ci viene confermato nell’eucaristia e negli altri sacramenti. Quando ci rallegriamo con la “tutta santa” (bel modo con il quale potremmo tradurre “piena di grazia”) per i doni di santità che la Trinità santissima ha voluto in lei riversare ed esaltare, ricordiamo e celebriamo al tempo stesso i nostri stessi doni, e benediciamo il Padre che ci ha riempito di ogni grazia nello Spirito Santo per mezzo di Gesù Cristo. Non finiremo mai di contemplare la pienezza dei doni che Iddio ha effuso su Maria: tra tutti, Madre di Dio. Una creatura che genera il suo creatore: mistero insondabile, e tuttavia di fede divina e cattolica. Come dicono i santi padri: e chi potrà impedire al costruttore di abitare nella casa che egli stesso ha costruito? E tuttavia anche noi siamo sua casa e sua dimora per mezzo dello Spirito Santo che è stato effuso nei nostri cuori.   n

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