Pace vera e stabile è quella realizzata da Cristo, che atterra i bastioni tra antico popolo di Dio e i nuovi chiamati dalle genti. A lui occorre ritornare per un’amicizia salda e riconciliata
Rosanna Virgili
Nella Lettera agli Efesini troviamo forse il più bel manifesto della pace cristiana (Efesini 2, 11-22). Paolo si rivolge ai «lontani», vale a dire ai non circoncisi, che i giudei considerano distanti da loro ed esclusi dal popolo eletto. Ma sia i giudei sia i pagani, quando entrano nella comunità cristiana, si trovano a formare un unico popolo e persino un unico «corpo». Ed ecco che l’Apostolo deve spiegare agli uni e agli altri per quale via questa unione che sembra impossibile divenga invece possibile, e come le differenze tra culture e tradizioni diverse possano smettere di ignorarsi o di contrapporsi, e tanto meno entrare in conflitto.
Paolo dunque illustra anzitutto ai gentili i doni esclusivi che Dio aveva fatto agli ebrei sin dall’inizio della loro storia: «Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani nella carne, chiamati non circoncisi da quelli che si dicono circoncisi perché resi tali nella carne per mano d’uomo, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo» (vv. 11-12). Dopo aver chiarito che sia la ‘non circoncisione’ dei pagani come la circoncisione degli ebrei non è altro che un elemento della «carne», Paolo delinea quelli che sono i veri pilastri della fede ebraica, che presentano un effettivo valore spirituale: il Cristo, la politèia (cittadinanza) d’Israele, i patti della promessa, la speranza, l’Emmanuele («Dio nel mondo»). Si tratta di ciò che ha dato vita e identità a Israele, per le cui virtù questo popolo, che originariamente era fatto da migranti e profughi, ha trovato una stabilità, una terra dove abitare, coltivare campi, costruire case, generare figli e figlie rendendo lode al proprio Dio.
Essi hanno avuto il «Cristo» vale a dire il messia (primo pilastro), capo politico preposto da Dio, ‘messia davidico’ ben descritto nelle parole di Isaia: «Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi. Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà» (Is 11, 2-6).
Con il suo timore verso il Signore, questo ‘germoglio di Davide’ farà sì che Israele si costituisca in una ‘cittadinanza’ (il secondo pilastro), dove diritto e giustizia saranno garantiti per tutti, dove tutti avranno pari dignità essendo nati liberi, poiché cosi dice il Signore: «Se tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si vende a te, non farlo lavorare come schiavo; sia presso di te come un bracciante, come un ospite. Ti servirà fino all’anno del giubileo; allora se ne andrà da te insieme con i suoi figli, tornerà nella sua famiglia e rientrerà nella proprietà dei suoi padri. Essi sono infatti miei servi, che io ho fatto uscire dalla terra d’Egitto; non debbono essere venduti come si vendono gli schiavi. Non lo tratterai con durezza, ma temerai il tuo Dio» (Lv 25, 39-42).
Israele detiene poi un altro privilegio che lo rende davvero unico: il patto, l’alleanza con Dio (terzo pilastro), con cui questi s’è impegnato nel promettere «una terra bella e spaziosa [...] dove scorrono latte e miele» (Es 3,8). Dall’alleanza con Dio deriva la vita stessa di Israele come popolo libero e felice.
Unica condizione richiesta era la fedeltà a un Dio che veniva invocato come sola sorgente di speranza (quarto pilastro): «Speranza d’Israele, o Signore, tutti quelli che ti abbandonano saranno confusi», così ne parlerà il profeta Geremia (17,13). Poiché il Dio di Israele, a differenza delle divinità pagane che erano lontane dai popoli che le adoravano, era il compagno di ogni giorno, l’amico, lo sposo, il padre, il custode (quinto pilastro): il suo nome era Emmanuel, ‘il Dio con noi’.
Ai pagani erano stati fino allora preclusi questi cinque ‘pilastri’ della fede ebraica, che mentre restavano fonte di immensa grazia per Israele escludevano in modo totale tutti gli altri popoli.
I beni esclusivi di Israele, le sue tradizioni religiose, la stessa Legge, rischiavano di essere origine di inimicizia e di contrasto con i «lontani», persino causa di guerra.
Ed ecco la via della soluzione: Gesù estende dai vicini ai lontani tutti i doni sinora riservati a Israele. Infatti: «Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in sé stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in sé stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini [...] Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio» (vv. 13-19).
La via della pace è dunque l’abbraccio di ebrei e gentili, di palestinesi e israeliani, di russi e ucraini – solo per parlare dei popoli oggi in guerra – nel sacramento di un corpo inclusivo che sintetizza e diventa l’unico, indispensabile ‘pilastro’ della salvezza per tutti, l’unico capace di abbattere il muro formato non solo dagli eserciti ma anche dalle leggi divisive ed esclusive, che a loro volta generano inimicizia. Un corpo che è «in Cristo Gesù».
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