Simeone annunciò la spada del dolore a Maria e Giuseppe con la sua sposa attese l'“ora” dolorosa del Figlio.
L’armonia spirituale dei due santi sposi diventò vita condivisa
di don Bruno Borrelli
Dal giorno in cui il vecchio Simeone ha profetizzato a Maria che una spada di dolore avrebbe trapassato la sua anima (cfr. Lc 2, 35), anche san Giuseppe ha vissuto l'esperienza spirituale della medesima spada di dolore, in unione al cuore ferito di Maria sua sposa. Tra due sposi, se uno ha un dolore, anche l'altro lo condivide e ne è parte. E così quella spada, che fin dal momento della Presentazione al tempio del bambino Gesù aveva colpito Maria e che l’avrebbe colpita soprattutto durante la passione del Figlio, ha colpito il cuore di san Giuseppe.
San Giuseppe, insieme a Maria sua sposa, ha condiviso e sofferto in anticipo la passione di Gesù, ha sentito nel suo cuore questo dolore per Gesù perseguitato, insultato, disprezzato, torturato e poi ucciso. San Giuseppe leggeva i Salmi e i Profeti. I Profeti, in particolare Isaia, e alcuni tra i Salmi, preannunciavano le sofferenze, la passione del Servo di Jahweh, del Figlio dell'Uomo, nomi con cui si chiamerà Gesù. Leggendo le profezie, san Giuseppe ha vissuto in anticipo con Maria la passione di Gesù, ha condiviso con Maria la sua spada di dolore. Lui è l’Addolorato insieme all'Addolorata già dal momento della profezia di Simeone, ed è stato vicino alla Madonna per consolarla e confortarla, per sostenerla, perché la mamma soffre in modo diverso e più fragile che il papà, quando si perde un figlio o si vede soffrire un figlio.
San Giuseppe è entrato in quelle beatitudini che poi sarebbe state raccolte nel Vangelo, beatitudini difficili e dolorose. «Beati voi quando vi perseguiteranno a causa mia» (Mt 5, 11), dice Gesù. Beato te, san Giuseppe, che con Maria hai sentito la spada dolorosa nel cuore a causa di Gesù, hai condiviso con Maria nel tuo cuore per trent'anni questa spada, prima che questa si rea-
lizzasse sul Calvario. È stata la tua una vita di prova dolorosa, anche perché difficilmente comprensibile e difficilmente accettabile da un padre. Una prova simile a quella di chi ha un figlio malato inguaribile, terminale, morto giovane.
Tutto questo, con Maria, Giuseppe lo prevedeva e lo sentiva. Se da una parte essi ricevevano la consolazione di avere Gesù con sé, sapevano anche che quel Gesù sarebbe finito così. La loro sofferenza sarebbe stata totale nel momento del trapasso di quella spada nel cuore, ma lo è stata anche prima, al solo pensiero che Gesù, il loro figlio con loro per trent'anni, sarebbe poi finito in quelle sofferenze, in quelle persecuzioni e in quella morte.
Ora san Giuseppe in cielo, stando alla parola di Gesù, è beato, si rallegra in pienezza ed esulta in eterno. San Giuseppe ha una ricompensa grande nel cielo perché ha vissuto la beatitudine di chi soffre per causa di Gesù. E di questa sua personale ricompensa, pur essendo dono del Padre e di Gesù, san Giuseppe può disporre, può averne piena proprietà e libertà. Ciò significa che, se noi chiediamo qualche grazia a san Giuseppe, qualche aiuto quando la spada del dolore trafigge anche noi, la spada della malattia o del dispiacere, saremo aiutati. Possiamo e dobbiamo pregare san Giuseppe e contare su di lui. Lui ha già ricevuto la grande ricompensa in cielo. “Ricompensa” vuol dire “ricchezza”. È una ricchezza di grazie che sicuramente san Giuseppe riversa su di noi con piena proprietà e libertà. Allora confidiamo nelle grazie di san Giuseppe, perché sono frutto della beatitudine di aver condiviso con Maria la spada del dolore, ancor prima che questa colpisse Gesù, come era preannunciato dai Profeti.
Aggiungiamo infine una riflessione sul rapporto tra san Giuseppe e la Madonna. Per capire questo rapporto di anima e di spirito tra Giuseppe e Maria bisogna ricorrere alle parole dette dall'angelo a Giuseppe: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria tua sposa» (Mt 1,20). Bisogna capire bene questo “non temere”. Alcune traduzioni scrivono “non avere paura”, ma è sbagliato. La traduzione giusta è “non avere timore” perché il timore non è paura. La paura, che non avrebbe senso per san Giuseppe, è di solito negativa, è una forma ansiosa; quando si ha paura, si è in ansia, e l’ansia è un sentimento negativo. Il timore è invece positivo. La paura è egocentrica e narcisista: io ho paura per me. Il timore invece è allocentrico e altruista: io ho timore per l'altro. Una mamma non ha paura per sé stessa, ha timore per i figli. Questo è il timore giusto e positivo.
L'angelo dice: «Non temere, figlio di Davide, Giuseppe, di prendere con te Maria tua sposa», quindi non essere “timoroso”. La persona timorosa è sensibile verso gli altri, rispettosa degli altri, ha un timore di rispetto, un timore per una pienezza di riguardo verso le persone, un timore che suscita venerazione, riverenza, stima e apprezzamento, lode e ossequio. Questo è stato il timore di san Giuseppe verso la Madonna. Era un timore rispettoso che turbava Giuseppe e che rischiava di fargli allontanare Maria da sé. Proprio per questo, a Giuseppe, alla sua bella anima, l'angelo dice: «Non avere questo timore reverenziale che ti fa sentire indegno di sposare Maria, di tenere la tua sposa santa, pura, scelta da Dio per generare il Messia». San Giuseppe era timoroso perché ammiratissimo, ispettosissimo, ossequiente e riverente verso Maria, sua sposa. Giuseppe era innamorato, ma avrebbe rinunciato a lei per rispetto, perché la Madonna era di Dio, destinata a generare il Figlio di Dio, il Messia. Com’è bello l’esempio che ci dà san Giuseppe e, di riflesso, anche l’esempio della sua sposa Maria! Un esempio di serenità, di pace, di tranquillità e sicurezza. Un esempio di rapporti attenti e rispettosi, gentili e servizievoli, ossequienti e generosi, fatti di attenzioni, di belle sorprese, di lodi e ringraziamenti, di ammirazione vicendevole, di riconoscenza reciproca. Questo atteggiamento tra Giuseppe e Maria li portava poi a vivere un matrimonio riuscito e felice. Siano queste le grazie che chiediamo a san Giuseppe e alla Madonna per i matrimoni cristiani, per le famiglie cristiane.