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a cura di Gabriele Cantaluppi

Saremmo stati immortali se non ci fosse stata la disobbedienza di Adamo ed Eva e saremmo sempre vissuti nella comunione piena con Dio e senza la prospettiva della morte?

Un bambino adottato da una famiglia entra nella casa e condivide tutti i beni, ma soprattutto è amato come un figlio concepito nel grembo di quella madre. Così è stato per il genere umano: sono chiare le parole del libro della Genesi. Il secondo e il terzo capitolo sono pieni della tenerezza di Dio, che fa coabitare l’uomo con lui e lo va a trovare alla brezza della sera, cioè nell’intimità del cuore. Ognuno può dare la propria risposta alla domanda iniziale, ma è più importante attenersi ai fatti, così come sono avvenuti: il peccato originale c’è stato, con tutte le sue conseguenze per il genere umano.

Secondo la fede cristiana «l'uomo, tentato dal diavolo, ha lasciato spegnere nel suo cuore la fiducia nei confronti del suo Creatore e, abusando della propria libertà, ha disobbedito al comandamento di Dio. In ciò è consistito il primo peccato dell'uomo. In seguito, ogni peccato sarà una disobbedienza a Dio e una mancanza di fiducia nella sua bontà» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 397).

Da allora per entrare nella vita eterna dobbiamo passare attraverso la mortalità corporale. Ma, professando la fede nella resurrezione dei morti e nella vita eterna, riteniamo che la morte è il momento della nostra purificazione, l’atto di obbedienza con cui ripariamo la disobbedienza che ha colpito tutti noi.

Ci sono due modi di essere immortali: quello assoluto di Dio, l’Immortale senza principio e senza fine.

Ma c’è anche quello degli angeli e il nostro: creati per l’eternità, noi siamo immortali in virtù dell’anima, che ci forma a immagine di Dio. 

è ancora il Catechismo della Chiesa Cattolica che afferma: «La Chiesa insegna che ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio, non è “prodotta” dai genitori – ed è immortale; essa non perisce al momento della sua separazione dal corpo nella morte, e di nuovo si unirà al corpo al momento della risurrezione finale» (n. 366).

Gesù testimonia spesso di essere venuto a fare la volontà del Padre e a condividere con noi tutto, anche la stessa morte, perché essa per la misericordia di Dio non fosse più segno del peccato, ma nuovo segno della vita eterna, grazie alla sua resurrezione.

Sono illuminanti le parole del cardinale Carlo Maria Martini: «Mi sono riappacificato con l'idea di morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremo mai a fare un atto di piena fiducia. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre un'uscita di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente, di Dio».  

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