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Gesù tra i dottori

di Mario Sgarbossa

Il racconto di Luca, vivace e partecipe dell’angosciosa ricerca di Giuseppe e Maria, merita di essere meditato nella sua interezza e complessità. L’inattesa scomparsa di Gesù rappresenta infatti un imprevisto non solo per loro, ma anche per noi. Scopriremo però che l’avventura ha un lieto fine, e che comunque non si è trattato del capriccio di un fanciullo o di uno smarrimento premeditato così da creare suspense nel lettore, per quanto l’improvvisa assenza del giovane Messia abbia ugualmente suscitato una dolente sorpresa negli angosciati genitori.

Ecco il racconto di Luca: I genitori di Gesù erano soliti recarsi ogni anno in pellegrinaggio a Gerusalemme, per la festa di Pasqua. Gesù aveva appena compiuto dodici anni (mancava dunque un anno per la maturità, secondo la regola fissata dal Talmud). In quell’occasione i genitori lo portarono per la prima volta con loro a Gerusalemme. Finite le festività pasquali ripresero il viaggio di ritorno a Nazareth in comitiva, così com’erano venuti. Ma Gesù rimase a Gerusalemme senza che i genitori se ne accorgessero. Essi presero posto in due distinte carovane, una riservata alle donne, l’altra agli uomini. Ai ragazzi al di sotto dei tredici anni erano invece concesso di aggregarsi liberamente alle madri o ai padri. Da qui il facile malinteso: Giuseppe riteneva che Gesù fosse con Maria, e viceversa, Maria pensava che Gesù, ormai un ometto, avesse preferito la compagnia degli uomini, restando con Giuseppe. Dell’assenza entrambi si accorsero solo dopo un giorno di cammino e a quel punto si misero a cercarlo tra parenti e conoscenti.

«Avete visto Gesù?» – andavano ripetendo a tutti, ma nessuno l’aveva visto. Così, agitate da una preoccupazione tale da togliere il respiro, i genitori tornarono a Gerusalemme per cercarlo. Ma dove? Qualcuno suggerì loro di cercarlo nella sinagoga. E proprio lì lo trovarono, ma solo al prezzo di tre giorni di affannose ricerche. Possiamo provare a fantasticare sul fatto che in quegli istanti, quasi certamente Giuseppe si addossasse la colpa dello smarrimento del figlio, mentre Maria cercava di rincuorarlo, riducendo l’intero episodio a un increscioso malinteso. Che Dio ci perdoni! Ed eccolo lì Gesù, seduto in mezzo ai maestri della legge, ad ascoltarli e interrogarli, come usavano i giovani, desiderosi di apprendere e al tempo stesso di discutere le leggi del Talmud. Per amore della chiarezza, anche a 12 anni. In quell’ora gli altri ragazzi se ne erano andati e Gesù era rimasto solo a tener testa ai severi maestri del tempio, che si mostravano alquanto stupiti dalle intelligenti domande e risposte del giovane. Lo stesso stupore manifestarono Giuseppe e Maria appena lo videro. Gli si avvicinarono e Maria gli disse: «Figlio mio, perché ti sei comportato così con noi? Vedi, tuo padre e io ti abbiamo cercato in ogni parte della città, e siamo stati tanto preoccupati per te». Gesù diede loro una risposta che Giuseppe e Maria lì per lì non capirono: «Perché vi siete preoccupati di cercarmi. Lo sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio!». Qualcuno dei presenti, all’udire quella risposta, avrà mormorato: «Quell’uomo non non è dunque suo padre?». Giuseppe abbassato il capo, deve essere parso mortificato, forse in silenzio.

E Luca al riguardo commenta: «Gesù partì con loro e tornò a Nazareth e stava a loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza età e grazia davanti a Dio e agli uomini » (Luca 2,51-52). Al di là di questo singolo episodio, nelle scritture Gesù si mostra sempre docile e obbediente nei confronti di Giuseppe, proprio nel modo in cui raccomanda il Deuteronomio (32,9), che in fatto di pedagogia suggerisce ai giovani soprattutto l’ascolto dei padri: «Interroga tuo padre ed egli te lo dirà». Qualche commentatore aggiunge che per la comprensione dei vari libri, più che consultare i teologi, è di aiuto l’ascolto silenzioso dei padri, la cui esperienza è una miniera inesauribile per la formazione dell’uomo di domani, anche in fatto di educazione religiosa. Gesù dunque interrogava il padre e la madre come fa ogni bambino con tanti perché. Sul conto di Giuseppe e Maria anche gli adulti, compresi i teologi, interrogano i Padri, quelli che la Chiesa elenca nei primi secoli della sua storia, quali a esempio il grande Giovanni Crisostomo (345-407), che prima di dare una risposta sul punto cruciale dell’incarnazione di Gesù nel grembo di Maria, si interroga a sua volta per capire le ragioni del dubbio maturato nel cuore di Giuseppe dopo il ritorno di Maria dal paese di Elisabetta, quando si accorge da segni inequivocabili della inspiegabile incipiente maternità della fidanzata.

Al riguardo san Giovanni Crisostomo si domanda: «Perché la Vergine Maria conservò il silenzio su quanto aveva veduto e udito in casa di Zaccaria? Avrebbe risparmiato a Giuseppe quell’angoscioso dubbio». Domanda e riposta del santo dottore della Chiesa: «Perché Maria dubitava che lo sposo potesse credere alla sua parola». Meglio lasciare l’iniziativa al Signore. Ipotesi più che probabile, come tante altre che sorgono sul rapporto padre-figlio che intercorre tra Giuseppe e l’adolescente Gesù negli anni cosiddetti oscuri della vita di entrambi a Nazareth. Quanto leggiamo nei capitoli 5, 6 e 7 del Vangelo secondo Matteo, in cui l’evangelista riferisce i primi discorsi di Gesù agli ascoltatori di Cafarnao e dintorni, non potrebbe essere stato appreso attraverso le parole e il fulgido, concreto esempio di padre di famiglia offerto da Giuseppe? Proviamo a mettergli sulle labbra alcuni brani significativi dei capitoli citati: «Perché guardi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello e non la trave che ostruisce i tuoi occhi?».

La bottega di un artigiano è il luogo in cui convergono le confidenze della gente di paese, assieme a tante critiche e pettegolezzi. E’ lecito ritenere che Giuseppe gli abbia ripetuto quella preziosa massima che poi Gesù dirà durante la sua missione itinerante. «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro». La stima che la gente di Nazareth nutriva nei riguardi del bravo e generoso falegname non nasceva forse dall’atteggiamento di Giuseppe verso il prossimo? «Non accumulate tesori sulla terra dove i ladri scassinano e rubano». Giuseppe non trattava soltanto il legno, ma anche il ferro e quant’altro chiedevano i paesani al provetto carpentiere. E lui, da uomo onesto, non approfittava del fatto di non avere validi concorrenti in un villaggio che contava allora appena cinquecento abitanti. Ora ne conta oltre cinquemila. «A chi ti vuole citare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. Dà a chi ti domanda e a chi ti chiede un prestito non volgere le spalle. Quando fai l’elemosina non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti... Quando fai l’elemosina non sappia la tua sinistra ciò che fa la destra». Ammonimenti che molto probabilmente Giuseppe scambiava con il suo giovane figlio e apprendista nelle brevi pause di lavoro, regole che ogni buon padre suggerisce ai figli.

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