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Una fede che non conosce tempo

di Angelo Forti

In un mondo orfano di padri, sembra opportuno ritrovare nell’esperienza di San Giuseppe il suo ruolo di padre accanto a Gesù. Giovanni Paolo II nella sua Esortazione apostolica sul «Custode del redentore» scriveva: «Giuseppe è padre: non è la sua paternità derivante dalla generazione; eppure, essa non è “apparente”, o soltanto “sostitutiva”, ma possiede in pieno l’autenticità della paternità umana, della missione paterna della famiglia».
Paolo VI nel suo pellegrinaggio in Terra Santa, proprio a Nazareth, indicava la Santa Famiglia come «scuola», com palestra dove si impara, in pienezza, il mestiere di vivere la vita cristiana: scuola di santità, scuola di preghiera, scuola di serenità nelle relazioni, scuola di reciproche obbedienze e di eloquente silenzio. Il nome “Giuseppe” nella tradizione ebraica era un nome di prestigio; l’aveva portato il figlio di Giacobbe, quello che per invidia fu venduto dai fratelli e deportato in Egitto, divenendo vice-faraone. Esso significa come senso: «Dio aggiunga».
La nostra devozione al papà terreno di Gesù lo onora e fa crescere la voglia che egli, con la sua intercessione e il suo esempio, aggiunga quello che manca alla nostra gioia di vivere.
Accanto al grappolo di grazie che dal risveglio di ogni giorno portiamo nell’animo come appello alla bontà paterna di Dio, in questa stagione della storia dobbiamo avere il coraggio di  chiedergli che egli «aggiunga» il suo stile di vita al nostro stile di vita. San Giuseppe non ha amato il chiasso, non prediligeva la grancassa, il suo stile preferiva i toni sfumati, la presenza discreta, «il soffio di un vento leggero» che accarezza con dolcezza.
Nei Vangeli San Giuseppe è chiamato «giusto», una “giustizia” la sua che nasceva dalla capacità di silenzio. Come maestro della quotidianità del vivere, San Giuseppe ha promosso il silenzio come «lingua madre».
Vorremmo che insegnasse anche a noi questa lingua madre.
Sempre più siamo resi inquieti dai rumori assordanti, dalla fretta, dai mille problemi e, troppe volte, dalla voglia dell’esibizione, siamo discepoli poco diligenti nel tradurre la capacità di ascoltare il silenzio come farmaco per lenire il bruciore delle nostre inquietudini e impazienze.
San Giuseppe è l’uomo che ascolta. Ascolta in silenzio la sua amata sposa, ogni sera tornando a casa le raccontava cosa gli era accaduto. Ascolta e riflette, ascolta e prega, ascolta e lavora.
Il teologo tedesco Karl Rahner diceva che oggi il cristiano o è un mistico o non è cristiano. Una persona mistica non è una persona che vive fuori dalla realtà, ma una persona  che ascolta il pulsare del cuore del nostro tempo.
Il carpentiere di Nazareth è stato una persona che ha parlato la «madre lingua» del silenzio ed è riuscito ad avvertire e ascoltare il silenzio come una carezza morbida dello Spirito, come un alito di vento caldo in un giorno di freddo.
Nel silenzio della notte un Angelo lo avverte di un evento che cambierà il corso della storia: Dio ha deciso prendere una carne come la nostra e di nascere da un grembo di donna.
La scelta della donna è stata fatta dall’eternità ed è caduta sulla dolce e bella fidanzata di  lui, Maria. «Giuseppe, non aver paura di prendere con te Maria, quello che sta per nascere è opera creatrice dello Spirito».
Giuseppe non si fa imprigionare dalla paura, prende coraggio, dice di «sì» e diventa padre legale di Gesù, lo ama, lo fa crescere, lo fa felice, gli insegna un mestiere.
Questa coraggiosa adesione ci insegna ad essere aperti al mistero che avvolge la vita di ognuno di noi.
In una società friabile, con valori deboli, come la nostra, è facile obbedire al denaro, al tiranno di turno, alla propria voglia di primeggiare.
Giuseppe sceglie Dio e cammina sicuro. Per tre volte l’angelo gli appare e per tre volte Giuseppe obbedisce.
Ogni annuncio non è un messaggio a 360 gradi, limpido, luminoso, globale, ma una penetrazione graduale del mistero. Non chiede di aver chiaro, luminoso, tutto l’orizzonte, gli bastava la luce sufficiente per illuminare i primi passi.
Il 19 marzo scorso abbiamo celebrato i Cento Anni della Basilica dedicata a San Giuseppe e il prossimo febbraio 2013 sarà la nostra Pia Unione a compiere Cento Anni. Da un secolo, milioni e milioni di persone, attraverso la Primaria Pia Unione del Transito hanno pregato San Giuseppe per se stessi, per i loro cari e per i morenti del mondo intero, affinché fosse compagno di viaggio in questo esodo dalla terra al cielo.
Noi popolo di salvati, ma sempre mendicanti di salvezza sui tornanti a volte faticosi e tortuosi della nostra esistenza, desideriamo avere una guida che «aggiunga» frammenti di luce quotidiana che illuminano i nostri passi.
Caro e amato San Giuseppe, fa’ che noi possiamo continuare a frequentare la scuola del silenzio, per sentire cantare la melodia delle realtà nobili che Dio semina nella nostra anima. Inoltre, ottienici con la tua intercessione la perseveranza nel ben operare per godere della tua discreta e amabile presenza in cielo, in quel sabato senza tramonto che sarà il sabato della nostra eternità felice alla luce del volto benedicente del Padre.

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