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Al quartiere Trionfale

Roma è abituata a vip e personalità istituzionali, Capi di Stato e politici famosi, tanto che la gente non presta nemmeno più attenzione a chi sfila velocemente per strada con le auto blu a sirene spiegate con poliziotti e carabinieri al seguito.  Tutto normale, eppure il 19 marzo scorso, nel quartiere Trionfale, la gente si è fermata e per alcune ore per giunta, per ossequiare un passaggio illustre, quello di un uomo poco terreno e tanto divino nella fede: san Giuseppe.  Accompagnato eccezionalmente quest’anno dalla banda musicale della Città del Vaticano, il santo è riuscito a mobilitare e coinvolgere tante persone, circa tremila al seguito della processione, un altro migliaio ha preferito seguire invece con lo sguardo l’uscita della statua nelle strade, da via Bernardino Telesio a via della Giuliana, Andrea Doria, piazzale degli Eroi e ritorno in Basilica, dando le spalle all’edificio ed il volto rivolto alla folla acclamante. In quei pochi minuti, che precedevano la posa sul piedistallo di sempre, il discendente della casa di Giacobbe è sembrato benedire le anime presenti.

 

 

Un grande applauso ha salutato san Giuseppe prima del rientro concentrando in quel fragore attese e speranze, richieste ed intercessioni. L’ampia basilica si è fatta improvvisamente piccolina, non c’erano spazi dove trovare riparo, ogni “buco” era tappato da una persona perlopiù in piedi e davanti i confessionali almeno trenta a fare la fila per togliersi forse il peso portato da un anno se non proprio da una vita. Ma, che cos’ha questo santo di così speciale se riesce a riempire una così grande chiesa, a far scendere in strada migliaia di persone ed a conquistare la loro fiducia? In fondo Giuseppe è biblicamente muto, a parlare per lui è stato il nobile gesto di amare nella castità Maria, di “non licenziarla in segreto” come intendeva fare all’inizio, e di far crescere in virtù e grazia il piccolo Gesù riparandolo per ben due volte da morte sicura (la fuga da Erode e quella in Egitto).
“Perché sono qui oggi”, i fedeli raccontano. Mischiandomi alla folla orante comincio a comprendere perché questa devozione assuma i contorni del tifo da curva B. “Signora perché lei è qui oggi?” domando impertinente alla prima donna che ho davanti. “Sono anni oramai – mi risponde la 60enne romana- sono cresciuta in questo quartiere e la festa di san Giuseppe “frittellaro” è un motivo per ritornare ogni volta”. “E lei come mai ha scelto di passare oggi per qua?” Domando alla seconda donna di nome Lia. “Vengo dal quartiere Africano e mi piace il clima di festa che sanno ricreare qui in occasione della ricorrenza”.
Una coppia di coniugi molto avanti negli anni sta per defilarsi poco prima della celebrazione, vengono dalla Garbatella ed hanno preso tre mezzi per non mancare alla processione, dicono di “sentirsi stanchi ma felici”. Altre tre donne mi raccontano invece di essere venute per un voto, affinché i propri figli trovino presto un lavoro “san Giuseppe è il patrono dei lavoratori, solo lui ci può aiutare”. Un padre mi riferisce infine che ha chiesto al papà terreno di Gesù di guarire il piccolo figlio malato. Ciascuno, tra un canto ed una preghiera, chiede qualcosa a san Giuseppe, quanti di questi saranno o sono stati esauditi è racchiuso nel segreto dei cuori.
La processione fa grandi numeri, non si può dire negli anni quale sia quella che abbia avuto più seguito. Ho notato la consistente presenza femminile nel corteo che avanzava tra il rosario, preghiere e canti. Dai balconi e dalle finestre moltissimi giovani hanno allungato la mano per riprendere col proprio telefono mobile di ultima generazione l’insolito “spettacolo”. Qualche donna resiste ancora nel’attendere san Giuseppe stendendo un copriletto rosso o bianco.
E chi dice che i commercianti pensano solo ai soldi resta smentito, sono tanti quelli sono usciti dai propri esercizi commerciali per salutare l’artigiano più famoso della storia. Anche clochard e persone senza fissa dimora si sono unite alla processione, chiusa dalle due fila di sacerdoti e diaconi, ministranti e chierici. L’atmosfera, tra un passo e l’altro è di grande suggestione, si prega, canta o si resta in silenzio, guardando mentre si è guardati dall’alto dai vari condomini. Anche i malati sono portati fuori e con una mano salutano da lontano il padre putativo di Gesù. Una donna dalle molte primavere, forse oltre 100, emaciata e pallida, magrissima nella esile statura trasmette con uno sguardo la sofferenza patita per i propri mali, guarda a Giuseppe per aiutarla a portare la croce, come Gesù fu sostenuto dal Cireneo.
Testimonianze di fede giuseppina. La devozione tocca l’apice in questo 19 marzo che richiama e riunisce alla Basilica di san Giuseppe al Trionfale persone provenienti da quartieri lontani ma anche da regioni vicine come il Molise e la Campania.
Da Avellino ad esempio scopro che è arrivata fin dal primo mattino Maria Antonia del Gaudio, giovane e sorridente commerciante che distribuisce dei dolcetti con dentro il suo amore al santo ed una storia curiosa che ella mi racconta commossa: “Sono iscritta alla Pia Unione di San Giuseppe e abbonata alla Santa Crociata dall’Aprile 2006 - esordisce decisa - La devozione a San Giuseppe mi è stata tramandata da una mia cugina ostetrica, la quale si è più volte rivolta al Santo ed è stata esaudita, ha conosciuto la pia pratica del Sacro Manto che ha regalato anche a me, dalla signora Carmelina di Mugnano del Cardinale che organizza ogni anno nel giorno di San Giuseppe lavoratore un pellegrinaggio speciale al Trionfale come ringraziamento per la grazia ricevuta di un lavoro stabile al marito, avvenuto tanti anni orsono”. Via via parlando, scopro pure che Maria Antonia ha sofferto di “problemi ginecologici” affidandosi “al carissimo Santo” affinché la aiutasse; “Ci tengo di precisare – aggiunge - che già in diverse occasioni ho riconosciuto il suo aiuto” tornando perciò ad invocarlo nelle difficoltà, sicura di essere esaudita. Ed i dolcetti? Da dove nasce questa usanza? “E’ molto diffusa in Sicilia – continua Maria Antonia – dove sono chiamati “cucciddati”. Ho cominciato a preparare dei dolcetti simili l’anno scorso e li offrii in due parrocchie di Avellino, la mia città.
Quest’anno volevo fare lo stesso, ma mi è stato comunicato il venerdì sera che la chiesa dove avevo deciso di portarli sarebbe rimasta chiusa il giorno di San Giuseppe, così li ho portati a Roma su invito di mia cognata. Ringrazio il Santo per aver partecipato ad una festa così bella e sentita”. Maria Antonia, insieme a sua cognata ha aperto da pochi mesi un negozio di articoli di abbigliamento per bambini “Les pois” dove tra l’altro capeggia alle pareti il quadro di san Giuseppe.
Rosa Spinelli e Marisa Bianchi. Di processioni loro ne hanno viste tantissime e rappresentano la memoria del quartiere. Impegnate entrambe in attività parrocchiali e di solidarietà (dal catechismo alla mensa dei poveri fino al mercatino di beneficenza). Rosa Spinelli partecipa alle processioni dal 1958 e ricorda che prima c’erano “tanti bambini, oggi qualcuno”.
San Giuseppe lo invoca tutte le sere prima di andare a letto “è il protettore della buona morte ed a lui mi affido e gli presento anche tutti i miei cari vivi e defunti”. Per la signora Spinelli è una “felicità abitare vicino a questa Basilica” ed al tempo sente la responsabilità degl’impegni che da laica insieme ad altri porta avanti, l’essere esempio per chi vede dall’esterno questa realtà “I parroci sono stati sempre tutti speciali che si sono alternati negli anni ma prima o poi vanno via la parrocchia resta invece a noi parrocchiani”. Di san Giuseppe ammira e vorrebbe diffondere “il carisma dell’umiltà”. La signora Bianchi sottolinea invece “san Giuseppe è amato e rispettato nel quartiere”, con “la partecipazione corale alle iniziative promosse e l’affluenza al triduo”, “penso - concludendo - sia l’unico triduo con un’altissima presenza di fedeli”.

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