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Un cordiale ben trovati in questo nostro appuntamento mensile in compagnia di San Giuseppe che oggi assume un tono particolare perché celebriamo la festa di san Francesco protettore con santa Caterina da Siena della nostra nazione, festeggiamo l’onomastico di papa Francesco che con la scelta di questo nome ha voluto indicare una direzione di marcia di tutto il suo pontificato: vedere i  san Francesco di Assisi l’incarnazione concreta del messaggio evangelico di Gesù.

Ma oggi c’è un singolare motivo per festeggiare: assaporare l’espressione di Gesù quando dice che: «c’è più gioia nel donare che nel ricevere». Sentire cantare nel cuore la gioia tutte le volte che usciamo dal guscio del nostro egoismo.  Il Giorno del dono seve a farci ricordare che senza un briciolo di dono offerto goni giorno la nostra vita sarebbe meno bella. La legge statale che ha voluto introdurre questa Giornata nel calendario nazionale ha voluto indicare che il “dono”, la solidarietà, l’altruismo, la generosità sono valori evangelici inseriti nella nostra Costituzione che è la carta dei diritti e dei doveri che dobbiamo rispettare per vivere bene la nostra vita sociale. 

Papa Francesco non poteva far mancare il suo  contributo di luce e di speranza in questa Giornata del dono.  Il papa ha detto che «Il dono più grande che Dio ci ha fatto è la vita. E la vita fa parte di un altro dono divino originario che è il Creato». L’altro ieri ricevendo i partecipanti all’Incontro promosso dall’Istituto Italiano della Donazione, in occasione della Giornata del dono 2017, il Papa è andato alla radice del nostro essere uomini e donne. Noi siamo creature, chiamate  per nome sin dall’eternità e siamo persone immerse nel disegno d’amore che il Padre buono ha voluto offrirci.

Il Papa ha sottolineato che nella misura in cui ci apriamo e accogliamo  Gesù possiamo diventare, a nostra volta, dono d’amore per i fratelli.  Questa realtà «Ce lo ha ricordato Gesù durante l’Ultima Cena, quando lasciò ai suoi discepoli il "comandamento nuovo" dell’amore». 

Un messaggio radicalmente nuovo certo, perché «non si tratta di un amore qualsiasi, ma dell’amore stesso di Gesù, che ha dato la sua vita per noi. Un amore che si traduce nel servizio agli altri: poco prima, infatti, Gesù aveva lavato i piedi ai discepoli. Un amore che sa abbassarsi, che rifiuta ogni forma di violenza, rispetta la libertà, promuove la dignità, respinge ogni discriminazione. Un amore disarmato, che si rivela più forte dell’odio. Questa è la regola dell’amore per quanti vogliono seguire Gesù: lasciarsi afferrare da Lui, amare con Lui, modellare le proprie azioni sulla sua infinita generosità».

E seguire Cristo è sinonimo di vita riuscita, felice. «La Giornata del dono» allora – ci suggerisce il Papa – «è un’opportunità stimolante prima di tutto per i giovani: perché possano scoprire che il dono è una parte di noi stessi che viene gratuitamente regalata all’altro, non per perderla, ma per aumentarne il valore. Donare fa sentire più felici noi stessi e gli altri; donando si creano legami e relazioni che fortificano la speranza in un mondo migliore». 

La consapevolezza di essere dono per noi stessi, per la nostra famiglia e per la società  si traduce anche in responsabilità, sia verso il nostro prossimo come verso il Creato che ci fa da casa dove abitiamo, dove possiamo salutare la luce all’alba e accompagnare con un po’ di tristezza le luci infuocate del tramonto. 

 Papa Francesco in questa giornata del dono ci ha ricordato che «Abbiamo il compito di conservare e consegnare integro alle future generazioni il pianeta, che abbiamo ricevuto come dono gratuito dalla bontà di Dio. Di fronte alla crisi ecologica che stiamo vivendo, la prospettiva del dono ricevuto, da consegnare a chi verrà dopo di noi è motivo di impegno e di speranza».

 Come sempre questo  nostro appuntamento su Radio Mater del 1° mercoledì di ogni mese, dedicato a san Giuseppe, è un incontro carico di affetto, di stima reciproca - almeno nei desideri - di appassionato ascolto nell’armonia di suoni che solo un’anima innamorata e ricca di fede sa esperimentare.  Questa sera in sintonia con tutti gli abitanti del mondo  vogliamo essere voce universale di gratitudine per i doni ricevuti.

 In questo nostro momento di spiritualità, desideriamo che San Giuseppe e san Francesco ci facciano da maestri. 

San Giuseppe non tanto per le parole che non ha pronunciato, ma per l’ascolto che ha saputo dare alla volontà di Dio e san Francesco per la sua lode al Creatore e il coro di tutte le creature. E queste parole innestino nella nostra fragile vita quei sentimenti che donano conforto nel dubbio e decisa volontà nell’obbedire all’annuncio di salvezza con la convinzione che nella vita tutto è grazia, tutto è dono, tutto è una vellutata carezza che sfiora il nostro volto senza pretendere di possederlo, trasmette calore e lascia una scia di tenera nostalgia.

  Abbiamo ripetuto più volte che il silenzio di san Giuseppe non è stato mutismo, in silenzia rassegnato, passivo, ma è un silenzio illuminato da irradiazioni con  tante sfaccettature che riflettono colori luminosi, quasi indicazioni di strade da percorrere per camminare  nel giusto sentiero della santità, come pienezza di beatitudine evangelica. 

Nel silenzio di san Giuseppe, allora, per noi che lo sentiamo come padre e protettore, c’è armonia e musica, c’è dolcezza e forza e anche il pianto sprigiona scintille di speranza.

Per chi vive in solitudine san Giuseppe si fa prossimo nella distanza, dal silenzio fa germogliare lo stupore che genera gioia, lo stupore rompe le abitudini e fa sgorgare un’acqua rigenerante che fa far fiorire i deserti della solitudine. Nel silenzio di san Giuseppe, coloro che lo sentono come padre e protettore, c’è armonia e musica, dolcezza e forza.

In questa nostra società tante volte stanca e sfiduciata, in questo momento rubiamo delle parole sulle labbra di san Francesco d’Assisi e con tutte le persone di buona volontà che coltivano il bene vogliamo lodare la bontà del Creatore che ci dona vita e speranza di immortalità.

 Ecco le parole di san Francesco che poi ascolteremo nella mia voce e poi nel canto.

 Laudato sii, o mi Signore,

laudato sii, o mi Signore,

laudato sii, o mi Signore.

 per tutte le tue creature,

per il sole e per la luna,

per le stelle e per il vento

e per l'acqua e per il fuoco.

 Per sorella madre terra

che ci alimenta e ci sostiene

per i frutti, i fiori e l'erba

per i monti e per il mare.

 Perché il senso della vita

è cantare e lodarti

e perché la nostra vita

sia sempre una canzone.

 E per quelli che ora piangono

e per quelli che ora soffrono

e per quelli che ora nascono

e per quelli che ora muoiono.

 E per quelli che camminano,

e per quelli che ti lodano,

e per quelli che ti aspettano,

e per quelli che ora cantano.

  Dopo questa introduzione, in questo appuntamento di lode, riflessione  e di spiritualità, desidero esprimere un cordiale saluto a tutti: alle ascoltatrice e agli ascoltatori, a chi ci ascolta in casa o per strada tornando dal lavoro, a chi sta preparando la cena, ma, in particolare modo, a chi è afflitto dalle molte contrarietà, avversità che sono la cattiva salute, il disagio interiore della depressione, l’insofferenza nei confronti della stessa vita. La difficoltà di rapporto con i  parenti in genere e, ancora di più, il malessere nella vita familiare come rapporto marito e moglie e genitori e figli; là dove si è perso l’abitudine– come spesso suggerisce papa Francesco – di domandare scusa: di “chiedere permesso”,  pronunciare un grazie sorridente. 

  In questa festa del dono un saluto particolare a chi è arrabbiato con la stessa esistenza, per chi ancora non ha trovato un motivo forte e valido per vivere. Un particolare abbraccio a chi si sente inutile, solo, a chi è senza amici, vorremmo con questa preghiera essergli accanto con tanto calore amichevole e affetto fraterno. 

 In questa preghiera,  desideriamo accomodarci idealmente nella casa di Nazareth, vogliamo contemplare nelle relazioni quotidiane di questa trinità terrestre, lo splendore dell’amore vero, che per grazia divina sgorga come una sorgente di fiducia e incrementa la speranza per un futuro costantemente in crescita. 

Contemplare significa immedesimarsi in questa coppia di sposi che si amano, si aiutano, si vogliono bene e progettano il loro futuro sul fondamento della Provvidenza divina. 

 Tante volte la contemplazione di questa famiglia di Nazareth ci sgomenta per le notevoli distanze che separano le nostre povere vite dagli ideali sognati e contemplati nei rapporti di Giuseppe con Gesù e con Maria. 

Dal nostro disagio nasce  un grido di aiuto, affinché la santa famiglia di Nazareth ci venga in aiuto e ridoni linfa vitale ai nostri rapporti umani, una rinnovata energia al difficile mestiere del vivere umano. 

Quanto vorremmo che i nostri sentimenti fossero conformi ai sentimenti di Giuseppe e di Maria verso la missione che Dio  aveva a loro assegnato e come vorremmo che la Santa Famiglia di Nazareth, rendesse anche le nostre famiglie luoghi di comunione e cenacoli di preghiera,  e autentiche scuole del Vangelo e piccole Chiese domestiche.

preghiera

Gesù, Maria e Giuseppe, 

in voi contempliamo 
lo splendore dell’amore vero, 
a voi con fiducia ci rivolgiamo.

Santa Famiglia di Nazareth, 
rendi anche le nostre famiglie 
luoghi di comunione e cenacoli di preghiera, 
autentiche scuole del Vangelo 
e piccole Chiese domestiche.

Santa Famiglia di Nazareth, 
mai più nelle famiglie si faccia esperienza 
di violenza, chiusura e divisione: 
chiunque è stato ferito o scandalizzato 
conosca presto consolazione e guarigione.

Santa Famiglia di Nazareth, 
questa nostra preghiera
possa ridestare in tutti la consapevolezza 
del carattere sacro e inviolabile della famiglia, 
la sua bellezza nel progetto di Dio.

Gesù, Maria e Giuseppe, 
ascoltate, esaudite la nostra supplica.

Amen.

 

La famiglia è luogo di santità evangelica, realizzata nelle condizioni più ordinarie. Per chi ha una certa età può ricordare alla santità quotidiana delle nonne o delle mamme

 Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di andare lontano. È luogo del discernimento, dove ci si educa a riconoscere il disegno di Dio sulla propria vita e ad abbracciarlo con fiducia. Le nostre famiglie sono luogo di gratuità, di presenza discreta, fraterna e solidale, che insegna a uscire da se stessi per accogliere l’altro, per perdonare e sentirsi perdonati».

Nel suo viaggio a Nazareth  cinquant’anni fa, Paolo VI chiamava la casa di Nazareth una scuola: una scuola dove si imparava i tessere i rapporti con Dio e con gli uomini. Scuola di amore, di preghiera e di reciproca attenzione.

Una Chiesa che è famiglia sa porsi con la prossimità e l’amore di un padre, che vive la responsabilità del custode, che protegge senza sostituirsi, che corregge senza umiliare, che educa con l’esempio e la pazienza. A volte, semplicemente con il silenzio di un’attesa orante e aperta. E soprattutto, una Chiesa di figli che si riconoscono fratelli non arriva mai a considerare qualcuno soltanto come un peso, un problema, un costo, una preoccupazione o un rischio: l’altro è essenzialmente un dono, che rimane tale anche quando percorre strade diverse.

È casa aperta, la Chiesa, lontana da grandezze esteriori, accogliente nello stile sobrio dei suoi membri e, proprio per questo, accessibile alla speranza di pace che c’è dentro ogni uomo, compresi quanti — provati dalla vita — hanno il cuore ferito e sofferente. Questa Chiesa può rischiarare davvero la notte dell’uomo, additargli con credibilità la meta e condividerne i passi, proprio perché lei, la Chiesa di Gesù, per prima, vive l’esperienza di essere incessantemente rigenerata nel cuore misericordioso del Padre».

 E Giuseppe, in paradiso, rispecchiandosi negli occhi stessi di Dio sogna una Chiesa costantemente in cammino alla ricerca di uomini e donne senza speranza che sentono la vita più che un dono un peso. 

Ora vogliamo ricordare che papa Francesco ha portato dall’Argentina una sua devozione singolare a san Giuseppe alla quale devozione egli è molto affezionato. La sua devozione e san Giuseppe dormiente.

 Che ora sentiremo leggere da Marco, pubblicata  qualche tempo fa sulla nostra rivista  mensile La santa Crociata in onore di San Giuseppe

 E la preghiera a san Giuseppe dormiente. 

Mi piace riprendere la nostra riflessione in quest’ora di spiritualità, nella cornice di questo mese di ottobre con i colori vivaci che rivestono le foglie degli alberi in autunno. La natura, in questa stagione, a prima vista, sembra mostrare un sorriso stanco, invece è la gioia di essere stati capaci di donare vita con i frutti e gioia con i colori. L’autunno è certo un addio alla bella stagione, tuttavia i primi i mesi dell’autunno sono avvolto dai colori della speranza, è un addio, un caloroso saluto carico di attese. È un benevolo e fiducioso arrivederci nella stagione primaverile.

L’autunno, oltre l’offerta dei colori, soprattutto ai nostri anziani, che nella loro gioventù non hanno conosciuto i supermercati. Ai loro tempi la bottega del paese aveva tutto l’indispensabile per la vita, che andava ad aggiungersi alle forti proviste che la madre natura permetteva di ammassare nella dispensa o nei granai.  L’autunno offre il vino per la gioia del cuore, riempie i recipienti di olio per il sostegno della salute.

 Da qualche settimana anche la vita sociale ha ripreso il suo cammino ordinario: per i genitori che hanno potuto, hanno consumato le ferie anche fuori di casa, i che hanno ripreso la scuola hanno ancora negli occhi e nel cuore la gioia delle vacanze. 

Se qualcuno vive di nostalgia e di ricordi per la categoria dei nonni, il lavoro non è finito, anzi, a loro è richiesto un supplemento di attività.

In una società frenetica, sempre di corsa in tutto, che alla parsimonia del passato sta abituandosi, all’«usa e getta», a cancellare in fretta il passato, è entrato in crisi il ruolo educativo dei genitori.

 La mancanza di tempo dedicato ai ragazzi sta soffrendo una crisi preoccupante. 

Questo succede perché «in quest’epoca, tanti sono ansiosi di educare il prossimo, tanto che non hanno più tempo di educare se stessi». 

La battuta è dello scrittore inglese Oscar Wilde, il quale in questa frase fotografa la norma di delegare ad altri: alla scuola, alla parrocchia, alle associazioni, il ruolo educativo, dimenticando che l’educazione è essenzialmente un affare di cuore e dono gratuito del tempo. 

Senza amore è impossibile educare. Se i precetti, le regole e anche le imposizioni e gli ordini non passano dal cuore, frutti del cuore e non sono accompagnati dall’amore, rimangono come dei quadri appesi alle pareti della vita e incapaci di assumere il ruolo di pilota verso porti tranquilli la propria esistenza.

Non dobbiamo dimenticare che il cuore è una forza umile, silenziosa, ma la più efficace per cambiare il mondo e renderlo gioiosamente più vivibile.

 Il cuore è mantenuto caldo e pulsante dalla preghiera.

Il mese di ottobre è stato dedicato dalla tradizione alla recita del santo Rosario che molte persone ancora oggi coltivano, aiutati sia delle radio come Radio Mater, da Tv 2000 che lo trasmette ogni giorno da Lourdes, ma anche in privato molte mani che fanno scorrere tra le dita i grani del rosario. 

Quante volte, nel corso della storia, la chiesa ha fatto ricorso alla preghiera del Rosario specialmente in momenti di particolare difficoltà. 

Il Santo Rosario è uno strumento privilegiato per scongiurare il pericolo delle guerre e ottenere da Dio il dono della pace come avvenne per la battaglia di Lepanto. La Vergine, apparendo a Fatima ai tre pastorelli, cento anni orsono, non chiese forse la recita del Rosario per la conversione dei peccatori e per la pace nel mondo?

E come potrebbe venir meno la preghiera della pace in questi tempi minacciati da conflitti latenti che il Papa chiama ‘guerre a pezzetti’! In questi anni ci prepariamo con solidarietà a implorare da Dio pace e riconciliazione.

Maria Regia della Pace sia maestra e guida di ogni famiglia anche con questa preghiera del Santo Rosario.

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