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Ascolta, ora!

Abbiamo ancora negli occhi le immagini e negli orecchi i canti della funzione liturgica della Presentazione di Gesù al tempio: la festa della luce. Giuseppe e Maria si recano al tempio per adempiere un rito che la tradizione ebraica prescriveva per i primogeniti. 

Già nel libro dell’Esodo Dio fa dire a Mosè: «Consacrami ogni primogenito; il primo parto di ogni madre tra gli israeliti – di uomini e di animali – deve appartenere a me».

 

È un’affermazione solenne per sottolineare che  tutto è di Dio e  a noi tutto viene dato in uso e dobbiamo pagare un riscatto, piccolo, minuto che pone il sigillo di fabbrica su un nuovo fiume della vita: una nuova creatura che il grembo materno offre come primo frutto di un amore umano,  segnato comunque dalla mano paterna di Dio. 

Da questa conapevolezza del dono ricevuto scaltrisce il senso del vivere. Scriveva  Georges Bernanos, l’autore del celebre romanzo «Diario di un curato di campagna» che nella nostra esistenza «nessuno ci impedisce di calcolare la processione degli equinozi (cioè il momento preciso dell’anno in cui il sole  si trova nel punto in cui  c’è perfetta equità tra la durata del giorno e quello della notte; da noi è la notte del 21 dicembre) o è capace di disintegrare gli atomi e fabbricare l’energia nucleare. Ma a che cosa servirà tentare di fabbricare la vita, se si è perduto il senso stesso del vivere?».

San Paolo ci dice  che «nella pienezza dei tempi» Gesù è venuto ad iniziare un giorno senza tramonto, che è il tempo di Dio. Gesù è la luce dall’eternità ha invaso il tempo degli uomini. 

Gesù presentato al tempio è l’accensione nel firmamento della salvezza di una luce senza tramonto.

Quando gli uomini erano ancora padroni del tempo e non prigionieri del corri corri di oggi, la Presentazione di Gesù al tempio era celebrata con tanta solennità. 

La cosiddetta festa della “candelora”, illuminava le chiese e gli occhi dei credenti con quella luce che aveva guidato i magi verso la grotta di Betlemme  e guida ancora noi alla ricerca del volto di Gesù, questo fratello nella carne che Dio ha mandato per illuminare gli angoli angusti e bui del nostro esistere. 

Nel passato nella giornata di ieri si benedivano i ceri che avrebbero illuminato le chiese durante l'anno, per ricordare la profezia di Simeone che vede in Gesù la luce che illumina le genti.

La ricerca del volto amico di Gesù è «impegnativa» e si fa vita della nostra vita, una  ricerca appassionata non solo del perché vivere ma anche per sentire il calore di un amore che dall’eternità mi ama e mi conosce,   mi chiama per nome come un padre e una mamma chiama un figlio. 

La ricerca del Gesù è il lievito della nostra vita cristiana.  L’importante è non fermarsi davanti alle difficoltà e ogni giorno essere come i magi: vegliarsi al mattino e camminare sulla sue orme. 

La fede è una luce misteriosa che sta nel segreto dell’anima e ci sollecita a perseverare nel cammino di un rapporto sempre più vitale con Dio.

Come la luce del faro dà al marinaio la certezza del porto, così la luce della fede mette in cammino la gente di buona volontà e le nazioni. 

Però la luce della fede è luce misteriosa. 

La fede è una stella nel firmamento della nostra vita; è una stella che indica il sentiero della giustizia, del perdono, delle beatitudini evangeliche. 

Come per i re magi la stella li ha condotti alla sorgente della gioia, infatti, l’evangelo ci ha riferito che «provarono una grandissima gioia». 

La fede, la speranza e la carità sono un traguardo da raggiungere, un sogno da realizzare, il senso del vivere da possedere: il respiro indispensabile di ogni esistenza.

La fonte della nostra gioia non sta nello strisciare terra - terra, ma di seguire il volo delle allodole, il volo dell’aquila.

Sant’Agostino, un autentico convertito a Cristo Gesù - un’espressione che abbiamo ascoltato tante volte - diceva: «Il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Dio».

La luce della fede brilla nell’alto dei cieli, ma cerca una casa, cerca un volto, un bambino, una madre, un padre.

E ieri nella celebrazione della presentazione di Gesù c’erano due anziani appassionati ricercatori del messia ad accorgersi di qualcosa di straordinario. 

La fede di questi due anziani non era un sentimento volatile e inconsistente ma un desiderio che attendava i frutti della promesse della bibbia.  Dio non è insensibile alle lacrime del suo popolo e il messia non veniva a liberare da tutti i malanni, ma a dare un senso alla lacrime.

Dio, infatti,  non è un sentimento, un’idea nel cervello, ma una realtà che in Gesù si fa visibile. 

Quella realtà invisibile che è Dio, che ha creato il cielo e la terra, ora si fa visibile in questa creaturina e diventa luce, strada, saggezza ed intelligenza per arrivare a guardare la creazione con stupore e gridare: «Padre, grazie del mondo, grazie che nella creazione, creando l’universo  hai pensato a me e ti sei messo al mio fianco per essermi compagno in questo  cammino».

In questa appendice del Natale in cui troviamo protagonisti Giuseppe e Maria anche noi come eco della festa di ieri sosteniamo con gli occhi curiosi e con l’animo desideroso di conoscere come Simeone e Anna che senti il profumo di Dio nella sua vita.

I nostri occhi si aprono su Maria e Giuseppe che entrano nel tempio di Gerusalemme portando il bambino Gesù sulle braccia. Entrato con fede per  presentare la loro cratura al  Signore della vita. 

Non fanno nemmeno in tempo a entrare che subito le braccia di un uomo e di una donna pieni di stupore se lo contendono. Infatti  Gesù non appartiene al tempio, Gesù appartiene agli uomini e alle donne. Gesù è venuto per la nostra salvezza. Gesù è nostro. Egli è il fratello universale. È di tutti gli uomini e le donne assetati gioia e di vita, della persone che non hanno mai smesso di cercare di sognare, come Simeone e la vecchia Anna. Persone che sanno vedere oltre e incantarsi davanti a un neonato, perché sentono Dio come futuro. 

Gesù non è accolto dai sacerdoti, ma da un anziano e un'anziana senza ruolo, due innamorati di Dio che hanno occhi velati dalla vecchiaia ma ancora accesi dal desiderio. È la vivacità della memoria, è la vecchiaia del mondo che accoglie fra le sue braccia l'eterna giovinezza di Dio.
Lo Spirito aveva rivelato a Simeone che non avrebbe visto la morte senza aver prima veduto il Messia. Parole che lo Spirito ha conservato nella Bibbia perché io le conservassi nel cuore: tu non morirai senza aver visto il Signore. La tua vita non si spegnerà senza risposte, senza incontri, senza luce. Verrà anche per me il Signore, verrà come aiuto in ciò che fa soffrire, come forza di ciò che fa partire. Io non morirò senza aver visto l'offensiva di Dio, l'offensiva del bene, già in atto, di un Dio all'opera tra noi, lievito nel nostro pane.
Simeone aspettava la consolazione di Israele. Lui sapeva aspettare, come chi ha speranza. Come lui il cristiano è il contrario di chi non si aspetta più niente, ma crede tenacemente che qualcosa può accadere. 

Se sappiamo aspettare e nutrire i desideri gli occhi si fanno attenti, penetranti, vigili e vedono. 

Quei due anziani hanno visto la luce che per secoli era stata  come un’alba, preparata per i popoli.  Ora è spuntata l’aurora che si va facendo giorno con la luce emanata da questo piccolo figlio della terra della e di Dio. 

«La luce è Gesù, luce incarnata, carne illuminata, storia fecondata. La salvezza non è un opera particolare, ma Dio che è venuto, si lascia abbracciare dall'uomo, mescola la sua vita con le nostre vite. E a quella di tutti i popoli, di tutte le genti... la salvezza non è un fatto individuale, che riguarda solo la mia vita: o ci salveremo tutti insieme o periremo tutti».
Simeone dice poi tre parole immense a Maria, quasi un’anticipazione della quaresima che inizieremo già dalla prossima settimana.  Gesù è qui tra noi  come segno di contraddizione per gli uomini increduli, ma resurrezione per tutti gli uomini e le donne di buona volontà. 

 

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