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di Giovanni Cucci

Ripercorriamo in modo sommario (con il rischio di una inevitabile sbrigatività) le tappe del percorso di elaborazione della crisi. In ordine gli stadi di questa elaborazione:

1: l’incertezza. La persona si trova a confronto con qualcosa di inaspettato e di critico, senza quasi rendersene conto. La prima reazione è di negare tutto ciò cercando di continuare il corso della vita ordinaria cui si è troppo abituati. Si fa di tutto per non vedere quanto è capitato.

2: la certezza. È evidente che però non si può non fare i conti con quanto accaduto, la malattia progressiva, la morte di una persona cara, l’abbandono di un familiare, una grave perdita, lavorativa, finanziaria. A questo punto si lotta perché non sia così e ci si aggrappa a qualunque cosa.

3: l’aggressione. Questa fase segna il passaggio alla presa di contatto con le emozioni. Se finora la persona cercava nuove informazioni, discuteva sulle eventualità di poter padroneggiare la nuova situazione, ora si trova impotente di fronte all’evidenza del problema e a questo punto emerge la protesta, la rabbia, la ribellione nei confronti di quanto accaduto, che esplode con il grido di sofferenza e protesta ben noto: «Perché tutto questo è capitato proprio a me? Cosa ho fatto di male?».

4: la trattativa. Non potendo negare l’evidenza, si prova ogni possibile soluzione, naturale (medici, specialisti, cure convenzionali e alternative, pratiche e consulenze terapeutiche) e soprannaturale (pellegrinaggi, visite a santuari, e a santoni, voti di vario genere, offerte).

5: la depressione. Esaurite tutte le possibilità a portata di mano, anche la persona si trova esaurita di fronte all’evidenza che non c’è speranza di guarire, che non sarà mai più come prima. Eppure, stranamente, per alcuni questo non è l’esito ultimo della vicenda; la depressione può schiudersi a un momento di verità. Diventa come un invito: decidere di lasciare quello che non si può tenere. Ciò apre a nuove strade, fuori e dentro di sé.

6: l’accettazione. Questa fase nasce da una sorpresa. Chi ha perso tutto si trova impotente, non può gestire la sua vita come prima. Eppure stranamente da quel vuoto sorgono nuove inaspettate possibilità di vita, si fa esperienza di qualcosa mai sperimentato prima, «Su di lui ricadono un gran numero di percezioni, di esperienze, che lo portano a concludere: «Solo ora riconosco!. Io posso, voglio, mi accetto, vivo non contro, ma con la crisi» (Schuchardt).

7: l’attività. Nasce una nuova e impensata fase, che paradossalmente libera altre energie e apre ad altri desideri anche se dovrà rinunciare per sempre a quelle del passato: «I colpiti riconoscono che non è affatto decisivo ciò che si possiede, ma quello che si fa con ciò che si ha!» (Schuchardt). Quella sciagura fa sentire responsabili di altre persone attraversate dalla stessa esperienza, si capisce di essere importanti per loro.

8: la solidarietà. Questo stadio è in stretta connessione alla fase precedente: lo sguardo è posto fuori da se stessi, cercando cosa si potrebbe fare per un altro e come comunicare la propria esperienza. È una forma di conversione: ciò che si vorrebbe buttare viene scoperto come una ricchezza imprevedibile che cambia la vita, intraprendendo esperienze e iniziative, incontrando altri che hanno vissuto o stanno vivendo la medesima esperienza.

È questa a esempio l’esperienza di C. Imprudente, fondatore a Bologna dell’associazione “Accaparlante”, affetto da un gravissimo handicap motorio e di parola. In un libro autobiografico dal titolo significativo Vita! Appunti per una cultura dell’handicap, egli indica la svolta avvenuta nella sua esistenza, passando dalla fase di protesta verso Dio e la vita a motivo del proprio handicap alla fase della solidarietà; questa svolta è avvenuta quando ha trovato accanto a sé delle persone che lo hanno ascoltato con affetto e interesse coinvolgendolo nei loro progetti. In tutto ciò egli non è fisicamente guarito, ma si è scoperto tuttavia felice di vivere e che l’handicap, nonostante tutto, gli ha permesso di scoprire aspetti fondamentali della vita per lo più nascosti al mondo dei sani, forse più efficienti, ma spesso anche più superficiali. In questa fase il problema che assillava la persona, pur sempre presente e terribilmente operante, non costituisce più il fuoco dell’attenzione, perché altre realtà ne hanno preso il posto, portando verso altre direzioni, progetti idee, attività.

[per un approfondimento cfr G. Cucci, La forza dalla debolezza, Adp, cap. V]

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