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Il ricordo di padre Paolo Oggioni

di Soosai Rathinam

La rubrica delle «Lettere» dell’edizione di marzo della nostra rivista ha ospitato, a pagina 13, una lettera di padre Paolo Oggioni in cui narrava le vicende della sua malattia. Nel mese di maggio padre Paolo ha lasciato questa terra per ricevere il premio riservato dal Signore ai buoni servitori nella costruzione del Regno della fraternità e dell’amore. Ci sembra doveroso ricordare oggi la scomparsa di padre Paolo con il ricordo del padre Soosai Rathinam, responsabile della giovane provincia guanelliana comprendente India, Filippine, USA e Vietnam, e che ha avuto il privilegio di stargli accanto e conoscerlo nella sua qualità di confratello, educatore e autentico apostolo di carità. 

 

Padre Paolo era uno di noi e ha scritto alcune delle pagine più importanti e appassionanti della nostra storia. E’ doveroso parlare di lui perché è stato un prezioso dono ricevuto dall'alto. Uno dei compiti più difficili dei suoi futuri biografi sarà quello di stabilire a quale Provincia della Congregazione appartenesse, perché nel suo infaticabile impegno ha servito la Congregazione in tutto il mondo: Italia, America Latina, Stati Uniti d'America, Filippine e persino Africa, se la salute non l’avesse abbandonato nell’ultimo periodo del suo transito terreno.

La sua malattia ha prevalso e così non gli è stato permesso di servire nel Continente nero . L’Africa era nei suoi sogni, poiché proprio suo fratello, in qualità di religioso, era entrato a far parte dei Padri Bianchi e aveva trascorso diversi anni in Congo. In quella terra di profonda sofferenza era stato picchiato dai ribelli ed era stato costretto a fare rientro in Italia, dove era deceduto poco più tardi in seguito alle ferite riportate. Padre Paolo, in altre parole, lo spirito missionario lo aveva davvero nel DNA di famiglia. E di fatto è stato missionario fin dalla nascita, un uomo nato per una missione e per le missioni. Era un uomo aperto a ogni nuova esperienza e scevro da paure, pronto in ogni momento a partire per spingersi fino ai confini estremi della terra, come dice il Vangelo, seguendo e vivendo l’ammonimento del Fondatore di sentirsi ovunque a casa propria, poiché «Tutto il mondo è la vostra patria». La sua terra d’origine era la Lombardia, la stessa regione del Nord-Italia in cui era nato il Fondatore. Padre Paolo era nato a Pioltello, vicino a Milano, il 17 novembre 1943. Il patrono della sua chiesa parrocchiale era Sant’Andrea, uno dei primi discepoli chiamati da Gesù a farsi pescatore di uomini. 

E proprio sui passi di Sant’Andrea, Padre Paolo aveva lasciato molto presto le reti da pesca per donare tutta la sua vita in nome del Vangelo. Ancora giovane era entrato tra i figli spirituali di don Guanella. Nel settembre del 1961 aveva iniziato il noviziato a Barza d'Ispra e il 24 settembre 1963 aveva emesso la prima professione tra i Servi della Carità. Anni eccezionali, quelli della nascita della sua vocazione, perché proprio in quella fase Padre Paolo aveva avuto l'opportunità di partecipare alla beatificazione del Fondatore (1964) e al glorioso pellegrinaggio del corpo del Fondatore nel Nord Italia (1965). Quegli stessi anni furono eccezionali anche per due ulteriori motivi: l'evento del Concilio Vaticano II - col suo potente anelito di rinnovamento per la Chiesa universale - e la presenza presso il seminario nel quale si andava formando, di docenti assai qualificati, che hanno accompagnato e sostenuto con forza la sua crescita spirituale e culturale.

Il 19 dicembre 1970, giorno del compleanno del Fondatore,  padre Paolo è stato ordinato sacerdote a Milano dall’Arcivescovo cardinale Giovanni Colombo. Ha ricevuto la sua prima obbedienza come sacerdote ed è stato inviato a Milano, presso l’Istituto San Gaetano. Dopo tre anni, nel 1973, è stato trasferito a Chiavenna per sostituire padre Pellegrini nel ruolo di superiore locale di quella comunità, dove ha trascorso nove anni. Nuove obbedienze lo hanno poi condotto fino ai confini più remoti della terra e per giunta a contatto con i più poveri. Il suo lungo viaggio come missionario lo ha portato in Sud America, in Nord America, fino a raggiungere l'Asia: a confronto con paesi e culture diverse lingue climi, linque e spiritualità diverse. E tuttavia, pur nell’estrema varietà delle esperienze vissute, ha saputo restare sempre se stesso: un uomo sempre disponibile per gli altri, aperto al dialogo e all’incontro, appassionato della sua missione, totalmente dedito a essa attraverso il lavoro e la preghiera. Padre Paolo era del resto sorretto da una forte personalità e da una incrollabile forza di volontà, che lo ha sostenuto e guidato fino alla fine. Quando il suo corpo ha cessato di sostenerlo nella sua infaticabile opera, ha detto: «Ho fatto abbastanza sia per i poveri, come per il culto in onore di san Giuseppe» e ha chiesto di tornare nella sua Provincia d’origine. Desiderava infatti spegnersi a Como, proprio accanto al Fondatore da lui così tanto amato.

Fulgido testimone e propugnatore delle devozione di don Guanella a san Giuseppe, negli Stati Uniti Padre Paolo ha lasciato un segno concreto, dando un forte impulso al locale centro della Pia Unione del Transito di san Giuseppe. Attraverso il suo costante impegno ha rivitalizzato e animato l’attività delle Pia Unione, progettato dapprima solo sognando e in seguito concretamente progettando una cittadella dedicata al culto di San Giuseppe in cui un posto e una attenzione del tutto speciali fossero riservate proprio ai fedeli latino-americani: un popolo che per via di lingua e cultura Padre Paolo seguiva con assoluta passione e risultati intenso e partecipato seguito.. E proprio «l’evangelizzazione» è la parola che ha accompagnato padre Paolo tutta per tutto il corso della sua vita. L'evangelizzazione nasce dall’ascolto. Molti di noi lo ricordano infatti come un uomo di preghiera e di studio, ma ancor più come un uomo di ascolto e di confronto. Non è mai stato un evangelizzatore pigro e noioso, faticoso e ripetitivo, ma sempre entusiasta del messaggio cristiano. La sua intera esistenza e il suo esempio ci invitano dunque a farci uomini costante sempre pronti all’ascolto dell’altro, a un ascolto capace tuttavia di essere sempre aggiornato, informato e al passo coi tempi, che così che il modo in cui il Vangelo è predicato suoni ai fedeli come un annuncio sempre nuovo e sorprendente, sempre in grado di attrarre e risvegliare la gente dalla passività e dal torpore della nostra epoca.

Sappiamo infatti molto bene, che quando annunciamo qualcosa in modo meccanico, stesso ripetitivo, trito e noioso, non andiamo da nessuna parte. La gente non è facilmente incline ad ascoltare, anche quando ciò che diciamo è importante e vero. Di conseguenza il modo in cui noi predichiamo è altrettanto importante per un buono ed efficace annuncio del Vangelo. Ma vi è un altro, inconfondibile segno e dono che ci ha lasciato il suo sacerdozio: il suggerimento secondo cui il miglior modo di evangelizzare la gente è quello di stabilire un contatto profondo, empatico e personale con ascoltatori chi abbiamo dinanzi a noi. È un modo diretto e umile di avvicinarsi all’altro, che non richiede mezzi tecnologici o artifici intellettuali, ma è anzi la via più efficace al cuore della gente. Perché nonostante al giorno d’oggi, tutto sembri essersi fatto automatico e computerizzato, in altre parole artificiale, le relazioni umane restano o dovrebbero restare sempre semplici e intime.

Nessuno può annunciare il Vangelo se non è in grado di relazionarsi con le persone, se  tende a chiudersi a loro e  rifiuta di comunicare con la gente. Vi è infine un ultimo aspetto che merita di essere evidenziato nella «guanellianità» di padre Paolo. La sua evangelizzazione partiva sempre e comunque dai meno fortunati, dagli ultimi della terra. Perché nonostante il dovere di annunciare il Vangelo a tutti, in quanto Dio non divide le persone in diversi gruppi,egli certamente ama per primi i meno dotati. Per questi ultimi Dio nutre infatti una particolare predilezione, pur non facendo discriminazione alcuna.  Padre Paolo ha imparato dal Fondatore che Dio indirizza il suo amore in primo luogo proprio verso i meno considerati, coloro che sono ai margini, gli abitanti delle periferie esistenziali e urbane. È un’intollerabile ingiustizia il fatto che parte dell’umanità sia sempre ai margini, privata della possibilità di vivere con dignità pari a quella che è accordata agli altri esseri umani. Anche padre Paolo, dopo aver speso la sua vita tra i «beniamini di Dio», è stato provato nel corpo e nell'anima. Ha dovuto affrontare una malattia che ci piega e ci porta verso il basso, una malattia che rivela chi sei nella carne e nel sangue, cosa sei nel dolore, e di quale materia siamo fatti. E a tutto questo carico di sofferenze, padre Paolo ha replicato con gioia, ha dato una risposta degna del generoso credente e del consacrato a Dio al servizio dei più poveri che egli era sempre stato.

Noi Servi della Carità siamo molto piccoli, quasi gli ultimi, e durante questo centenario avremo il privilegio di accendere la fiamma della carità in una delle nazioni più povere del mondo, le Isole Salomone. Con questo piccolo passo abbiamo in qualche modo realizzato la vocazione del nostro Fondatore, che ha sempre nutrito il desiderio di andare ad annunciare il Vangelo fino alla fine del mondo, mache non ha potuto farlo fino in fondo mentre era ancora in vita. Fortunatamente il suo messaggio continua ad ardere in noi e a propagarsi in ogni angolo della terra: oggi, noi, suoi figli spirituali, siamo in grado di realizzare concretamente ciò che egli ha potuto solo desiderare. Per questo siamo convinti che egli dal cielo preghi per tutti noi e continui a osservare con sguardi di tenerezza e predilezione gli iscritti della Pia Unione sparsi nei cinque continenti del nostro Pianeta.

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