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di Gabriele Cantaluppi

Ricordo che ai tempi del seminario, il 1° maggio celebravamo con grande fervore la solennità di San Giuseppe Operaio, un importante momento di spiritualità che le rubriche liturgiche del tempo qualificavano come “festa di prima classe”, al punto da attribuirle una importanza se non maggiore, almeno pari alla Domenica.

Attualmente il Messale Romano la qualifica quale “memoria facoltativa”, rimettendo cioè alla libertà delle singole Comunità la scelta della sua eventuale celebrazione. Come mai? Nella vita di don Guanella e in qualche suo scritto si ricorda la “domenica del patrocinio di San Giuseppe”, che ricorreva a conclusione della terza settimana dopo Pasqua. Era stata istituita da Pio IX nel 1847, estendendola a tutta la Chiesa, mentre prima era accordata solo ai Carmelitani di Francia e d’Italia. Successivamente Pio X, nella sua opera volta a ripristinare la supremazia liturgica della domenica sulle altre celebrazioni, la trasferì al mercoledì seguente la III Domenica del Tempo Pasquale. Nel discorso del 1° maggio 1955, in occasione del decimo anniversario delle ACLI, Pio XII ripropose san Giuseppe come patrono e modello al mondo del lavoro, e istituì la festa liturgica di san Giuseppe operaio, affermando che «il Primo maggio è e sarà festa cristiana, cioè giorno di giubilo per il concreto e progressivo trionfo degli ideali cristiani della grande famiglia del lavoro. Amiamo annunziarvi la Nostra determinazione di istituire – come di fatto istituiamo – la festa liturgica di san Giuseppe artigiano, assegnando a essa precisamente il giorno Primo maggio». Il competente dicastero vaticano predispose allo scopo anche nuovi testi liturgici. La riforma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II, dopo aver sottolineato che «le feste dei santi proclamano le meraviglie di Cristo nei suoi servi e propongono ai fedeli opportuni esempi da imitare», invita a far sì che «perché le feste dei santi non abbiano a prevalere sulle feste che commemorano i misteri della salvezza, molte di esse siano celebrate da ciascuna Chiesa particolare, nazione o famiglia religiosa; siano invece estese a tutta la Chiesa soltanto quelle che celebrano santi di importanza veramente universale» (Sacrosanctum Concilium, 111). Per questo «il sacerdote tenga presente più il bene spirituale del popolo di Dio che la propria personale inclinazione. Si ricordi anche che la scelta di queste parti si deve fare insieme con i ministri e con coloro che svolgono qualche ufficio nella celebrazione, senza escludere i fedeli in ciò che li riguarda direttamente» (Ordinamento Generale del Messale Romano, ed. 2003).

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