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di p. Donato Cauzzo

È in corso in questi giorni il dibattito sul disegno di legge riguardante le “Dichiarazioni anticipate di trattamento” (DAT), che darà la possibilità di esprimere per iscritto le proprie volontà in merito ai trattamenti sanitari da accettare o rifiutare in caso di futura perdita di coscienza. Il confronto tra i rappresentanti di diversi schieramenti etici e politici si fa ogni giorno più vivace. Ma al contempo cresce anche un certo disorientamento: qualcuno chiede che il testo venga riscritto, altri lo ritengono inutile, o perché troppo restrittivo della libertà individuale, o al contrario perché pericoloso.
Mi pare che i principali dubbi riguardino tre questioni.
È proprio necessaria una legge, o non era meglio regolarci come si è fatto finora?

Due anni fa, si è verificato il “caso Englaro”. Un tribunale ha dato al padre di Eluana, una giovane donna da anni in stato vegetativo persistente, il permesso di lasciar morire la figlia interrompendo l’alimentazione e

idratazione artificiali che la tenevano in vita, sostenendo (presumendo!) che così ella avrebbe desiderato se avesse potuto esprimersi. Ho scritto “lasciar morire”: in realtà, sottrarre acqua e cibo equivale a provocare direttamente la morte: in quel momento Eluana non si trovava in fase terminale di una malattia. È morta dopo soli tre giorni. Si è scatenato un putiferio, con reazioni scomposte e scambio di pesanti accuse tra i sostenitori e gli oppositori di questa decisione. Vogliamo che si ripeta quella barbarie, nel caso si presentasse domani un altro caso simile, in assenza di una legge che dica cosa è giusto fare o non fare? Su materie che riguardano la vita e la morte non ci si può affidare all’arbitrio di un giudice.
Ovviamente questa legge non è perfetta. Si può migliorare, e c’è ancora il tempo per farlo, ma il testo attuale mi pare una base accettabile per la difesa e il rispetto della dignità e dei diritti dei malati, dei familiari, dei medici.
Le volontà espresse nelle DAT sono vincolanti per il medico?
Il testo ora all’esame chiede che il medico le tenga serissimamente in conto; e se decide di fare qualcosa contrario a quanto in esse scritto, deve darne ragionevole motivazione. Questo è quanto prevede anche la “Convenzione di Oviedo” firmata nel 1997 dagli stati della comunità europea, poi ratificata dall’Italia.
Alcuni invece chiedono che il medico sia obbligato a rispettare quanto il cittadino ha scritto nelle DAT. Ma questo lede il diritto del medico ad agire in base alla sua coscienza, se ritiene suo dovere scegliere diversamente. Se la vita di una persona è in grave pericolo (per incidente stradale, infarto cardiaco o altro), consideriamo encomiabile l’intervento tempestivo di un soccorritore che gli salva la vita.
Questo è quanto ci aspettiamo da un medico. La pretesa che i medici debbano adeguarsi in ogni caso alle DAT li trasformerebbe in passivi esecutori di atti imposti da altri. Tale pretesa nasconde la paura che i medici siano dei carnefici che si accaniscono sui malati vicini alla morte, prolungando inutilmente le loro sofferenze. È giusto chiedere strumenti di verifica sull’uso che i medici fanno del loro potere di controllo sulla vita (abbiamo infatti già stabilito un chiaro no all’accanimento terapeutico).
È sbagliato ridurli a passivi esecutori di una volontà del paziente che essi non condividono, ad esempio il rifiuto di una terapia salvavita che nelle DAT il cittadino avesse scritto di non volere. In caso di serio pericolo di vita, il medico deve poter intervenire a sostegno della vita, se per farlo impiega mezzi non straordinari e che non aumentano la sofferenza del malato. Le DAT non possono servire per chiedere a un’altra persona di farci morire.
Si può chiedere nelle DAT la sospensione di nutrizione e idratazione artificiali?
Il disegno di legge attuale non lo ammette, perché considera che nutrizione e idratazione, anche quando somministrate per via artificiale (flebo e sondino) non siano terapia ma solo sostegni vitali indispensabili all’organismo. Allattare un bimbo con un biberon (strumento artificiale!) è una terapia? Chi è contrario al testo proposto, si appella all’art. 32 della Costituzione, che stabilisce: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Ma trattamento sanitario è ciò che cura una patologia.
Mangiare e bere non cura nessuna patologia, sono sostegni vitali ordinari, che non costituiscono un eccessivo peso per il paziente e non provocano sofferenza. Per questo non si possono interrompere (unica eccezione: quando l’organismo non è più in grado di assorbire acqua e cibo; in quel caso sono inefficaci e inutili, e continuarli sarebbe accanimento terapeutico). La loro sospensione è causa diretta della morte del paziente: è una forma di eutanasia.

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