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di Gianni Gennari

Riprendo la riflessione sul mistero del morire. La morte è vero “mistero”, come del resto anche la vita, e se non si trova un senso alla morte anche la vita rischia di perdere il suo…
Cosa è “il” morire? Una fine ed un fine, abbiamo detto: nella tradizione cristiana una pena, ma anche un traguardo verso una realtà “altra”. Un castigo del peccato, annunciato nel libro della Genesi (cap. 3) ma anche “sorella” e oggetto del desiderio di fratelli e sorelle che noi chiamiamo Santi: “Desidero essere sciolto, ed essere con Cristo!” (Fil. 1, 23). 
Ho iniziato a proporre – sulla scia per esempio del grande Dottore della Chiesa San Giovanni Damasceno, e riprendendo temi trattati più di recente da teologi illustri come Hans Urs Von Balthasar, Karl Rahner, Ladislao Boros e altri – una visione del morire in cui si individuano due dimensioni diverse: la morte fisica che segna la fine di un modo di esistere nello spazio e nel tempo, e la morte personale, che sarebbe il passaggio da questa dimensione terrena a quella eterna, in Dio e nella luce dell’offerta di grazia della resurrezione di Cristo, il primo tra i molti fratelli, Lui Figlio di Dio per natura, loro figli di Dio per grazia Sua, nel mistero pasquale di passione-morte-resurrezione-ascensione-pente­coste che cambia sia la vita che la morte per coloro che accolgono l’invasione di grazia di Dio.
Per capirci ho fatto l’esempio di Lazzaro, morto da quattro giorni, ma poi richiamato alla vita dall’imperativo di Gesù: “Lazzaro, vieni fuori!” Era morto o era vivo? Fisicamente era certamente morto, Lazzaro, ma la morte personale, come passaggio alla luce del mistero pasquale non lo aveva toccato: amico di Gesù, non era “ancora” in Paradiso. Davvero morto – Gesù lo dice apertamente: “Lazzaro è morto” – ma – ancora Gesù: “Lazzaro dorme…”.
Ecco allora due dimensioni del morire: una fisica e una personale come passaggio ad altra vita. La morte fisica è accertabile e databile con luogo e tempo dell’evento, quella personale è un passaggio di stato, di condizione esssenziale dell’individuo che è morto fisicamente: un passaggio misterioso.
 
Morte come “opzione finale”
Ma cosa è? Cosa può essere questo “passaggio”? Qui si colloca l’intuizione suddetta di San Giovanni Damasceno fatta propria dai teologi indicati sopra. Alla morte fisica, come visto databile e verificabile da tutti, si affianca una realtà di scelta, da parte dell’uomo morente, perché “non tutto è mortale”, e questa scelta è l’accoglienza o il rifiuto della presenza vivificante di Dio, amore, luce, vita, gioia offerta a tutte le creature umane che hanno più che mai prima la possibilità di scegliere definitivamente ciò che vogliono essere nella dimensione definitiva del loro essere uomini: con Dio o contro Dio, con l’Amore increato e creatore o contro di Lui.
Una scelta finale, dunque, anzi “la” scelta finale offerta a tutti gli uomini, piccoli o grandi, bimbi innocenti o adulti peccatori, nell’atto di passaggio da questa vita nello spazio e nel tempo e la vita eterna offerta dalla Misericordia giusta e senza limiti alla loro libertà…
Ovvia una difficoltà immediata che viene alla mente: ma allora hanno ragione quelli – anche teologi illustri come Von Balthasar – affermando che l’Inferno è vuoto!
Possono anche avere ragione, ma il Catechismo di sempre parla non solo di Paradiso e Inferno, bensì anche di Purgatorio. Ecco allora la condizione del morente, diversa per ciascuno di noi: un bimbo innocente rifiutato nel suo nascere avrà soltanto da rivolgersi alla luce, all’Amore che nella sua morte gli si apre dinanzi. 
Il Catechismo dice che andrà subito in Paradiso. Un peccatore di taglio medio – come noi, tra chi legge e chi scrive – ha da “convertire” tutta la realtà del peccato che ha segnato la sua vita… I nostri peccati, di cui la nostra libertà male usata ci ha appesantito, come i nostri meriti di cui la Grazia ci ha impreziosito, sono la stoffa della quale è intessuta tutta la nostra vita precedente l’evento della morte. E questa realtà ha un suo peso nell’atto della scelta finale…
Ricorro a qualche esempio: se muore il bimbo innocente di cui parlavo sopra, ovviamente la sua disponibilità alla luce, alla verità, all’Amore, che è Dio, è totale. Questo vale per tutti i bimbi innocenti, anche quelli creati da Dio che non hanno avuto il Battesimo: il sangue redentore di Gesù si applica ad essi, anche ad essi: Lui e solo Lui è il Salvatore di tutti… Si dirà che i bimbi innocenti vanno subito in Paradiso… Se muore un peccatore come me, che scrivo, e voi che leggete accadrà che di fronte alla Luce, alla Verità e all’Amore i peccati, anche perdonati, avranno un peso che in qualche modo resisterà al cambiamento immediato e totale di atteggiamento… 
l nostro Catechismo chiama questa resistenza, bisognosa di purificazione, col nome di Purgatorio: nell’atto del morire personalmente la creatura purifica al fuoco misericordioso dell’Amore di Dio la sua veste battesimale, o la sua veste di creatura amata comunque dal Creatore, Padre di tutti, e non solo dei battezzati e coscienti di essere tali…  Se infine muore un peccatore incallito – diciamo come esempio un Hitler, un Mengele, uno Stalin che ha fatto morire di fame provocata apposta centinaia di migliaia di cittadini ucraini, o un Pol Pot, un violentatore di bimbi, un assassino voluto di innocenti la sua vita sarà una resistenza totale all’accoglienza e – posto che una purificazione di Purgatorio sia impossibile vista l’enormità dello stato di peccato – sarà Inferno…
Ultimo, ma non ultimo: sarà possibile davvero resistere fino a questo punto all’Amore che perdona e purifica? Forse deve essere possibile – quindi l’Inferno deve esistere – ma forse questa possibilità può essere vinta dall’infinita Misericordia… e quindi – sostiene Von Balthasar – forse l’Inferno possibile è vuoto…
Non è una ragione, ovviamente, per provare a riempirlo con la nostra resistenza all’Amore… Il nostro dialogo continua…
 
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