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Quinto mistero della luce

di Ottavio De Bertolis


Questo mistero fa come da ponte tra la vita di Gesù e la consegna di sé nella Passione: l’Eucaristia infatti riassume tutti i misteri della vita di Gesù, e li rende presenti nell’efficacia di quell’unico Pane che spezziamo. Così nell’Eucaristia troviamo, come in una sintesi, tutti i doni di Gesù agli uomini, e che venivano annunciati e celebrati, per così dire, quasi separatamente nel corso della sua vita terrena: il perdono ai peccatori, la guarigione dei malati, la consolazione dei suoi poveri, come abbiamo già visto. 
Tutte le volte che noi celebriamo la Messa, riviviamo tutto questo: siamo come i pubblicani e i peccatori che mangiano a mensa con Gesù, provocando lo scandalo dei farisei, di coloro che si credevano puri e bravi in base alle loro forze: “Perché il vostro maestro sta a tavola con i pubblicani e i peccatori?”. Nella Messa Gesù, come già nel cenacolo, si fa nostro servo, si inginocchia ai nostri piedi, facendosi non più grande di noi, come tutti noi crediamo che sia, e infatti lo è; ma così agendo si mostra e si fa più piccolo, per togliere da noi ogni timore e ogni paura di Lui e di Dio: chi vede Lui infatti vede il Padre. Gesù non si fa servo e piccolo solo per un momento, come si potrebbe intendere in base a un’interpretazione riduttiva di quel “vi ho dato l’esempio”, appunto, come se, una volta dato l’esempio, si togliesse frettolosamente le vesti del servo per riprendere quelle del padrone. Lui si mostra servo nostro perché è veramente e definitivamente nostro servo; Lui si inginocchia di fronte a noi per lavarci i piedi, non noi ci inginocchiamo di fronte a Lui. 
Parafrasando San Giovanni, potremmo dire che impariamo a servire perché da Lui siamo stati serviti; deponiamo ogni paura di Dio e della sua giustizia, perché questa è appunto la sua giustizia, l’inchinarsi di fronte a noi, alla nostra povertà, il suo chinarsi misericordioso su noi tutti: “ha rinchiuso tutti nel peccato per usare a tutti misericordia”, dirà San Paolo. Possiamo chiedere la grazia di capire intimamente tutto questo; mentre recitiamo questa decina di Ave Maria possiamo contemplare come Lui assume la veste di servo, come si fa piccolo, anzi, come si fa in mezzo a quel gruppo proprio l’ultimo di tutti, e ci esorta a questo. Infatti noi non siamo così arroganti da voler pretendere di essere i primi, e neanche forse tra i primi; ma proprio gli ultimi in assoluto, no, ci pare ingiusto, e difatti lo è. Ma è proprio di qui che nascono i nostri rancori, il nostro malessere, le divisioni che sono tra noi: se fossimo così liberi da avere davvero scelto per noi quel che Gesù per sé ha scelto e desiderato, affronteremmo la vita molto più serenamente, perché sapremmo vivere il dolore che la vita inevitabilmente ci offre (quello dell’ingratitudine, dell’emarginazione, perfino della violenza che possiamo ricevere) non come una maledizione, ma come un’occasione per servire davvero: poiché non si serve se non soffrendo, altrimenti è solo una commedia che dura poco.
Al tempo stesso, l’Eucaristia è l’anticipo della Passione: quel corpo che sarà spezzato e quel sangue che sarà versato viene fatto presente nell’ultima cena, perché tanto era il suo desiderio di cenare questa cena con noi che quasi anticipò quel che doveva accadere. E quel che accadde il giorno dopo, Lui ha voluto che fosse rappresentato infinitamente nelle nostre Messe, ogni volta che spezziamo il pane e benediciamo il calice: noi infatti, per la potenza dello Spirito Santo, siamo rifatti presenti a quel momento, e ogni volta che comunichiamo a quel pane e a quel vino, i frutti della Passione e della Risurrezione sono effusi su ciascuno di noi. Avviene come se tutto il perdono, tutta la grazia, in fondo tutto l’amore del Cuore di Cristo si riversasse unicamente su ognuno, sì che ciascuno di noi può dire, come San Paolo: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me”.  Tutto questo non per crogiolarci in buoni sentimenti, ma per seguire Lui che “umiliò se stesso, assumendo la condizione di servo”; Egli “patì per noi, lasciandoci un esempio: insultato, non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a Colui che giudica con giustizia: dalle sue piaghe siamo stati guariti”.
 
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